La democrazia rappresentativa ha le sue regole, piacciano no. Lo ha ricordato con immediatezza e lucidità Giorgio Napolitano nel suo discorso (piaccia o no) di reinsediamento a Presidente della Repubblica. Anche chi contesta le regole democratiche deve comunque farci i conti. Così, al termine di quella che è stata la più tormentata settimana del PD (incapace di evitare le insidie della fronda interna nelle votazioni a Camere riunite e sull’orlo di una scissione traumatica), ecco che il corpo elettorale premia a sorpresa un esponente di punta del Partito Democratico con la conquista di una regione nord. Debora Serracchiani (sostenuta anche da Sel, Idv e un paio di liste civiche) sale alla presidenza del Friuli, siappur con un vantaggio in voti assoluti assai esiguo sul candidato di centrodestra, l’uscente Renzo Tondo.
Il voto friulano ha bisogno di una analisi dettagliata, ma due fattori balzano immediatamente agli occhi. Il primo è l’affluenza al voto, crollata drasticamente e che supera di appena qualche decimale la soglia della metà degli aventi diritto. Percentuale che in Italia fa fortemente scalpore.
L’altro dato è il dimezzamento dei grillini (e della loro battaglia parlamentare). L’intransigenza sembra, almeno in Friuli, non pagare e la protesta che aveva spinto, anche in quella regione, il partito del comico genovese a vertici inattesi sembra non riconoscersi più in quelle posizioni, preferendo l’astensione.
A mettere insieme tutti questi fattori verrebbe da dire che: la confusione è regnante ed aumenta con la ricerca di soluzioni innovative; c’è una forte richiesta di cambiamento, ma anche di governo; la gravità della crisi economica mina anche la volontà popolare di rinnovamento; di chiarezza non se ne trova da nessuna parte, ma il disorientamento è una minaccia grave sul nostro futuro. Tutte contraddizioni che rendono ancora più difficili gli appuntamenti sulla PAC e sul Made in … ai quali l’Europa ci chiama urgentemente.