Non abbiamo ancora mai parlato dei Mondiali di Calcio in Brasile: evento mediatico di assoluto rilievo, appena alla sua fase iniziale e che già ha spinto all’uso di parole ‘forti’ (con il Commissario Tecnico che indossa i panni del generale Diaz – siamo pur sempre nel centenario della Prima Guarra mondiale – e parla di ‘patria’). Ed una partita di calcio è andata a vederla, per crearsi un alibi, anche l’uomo che ha ucciso a coltellate la moglie ed i due figli, uno di appena venti mesi.
Non c’è correlazione tra i due eventi. Se non per la risonanza mediatica che hanno occupato. Perché la questione del femminicidio dovrebbe avere la prevalenza sempre e su tutto, invece che venir oscurata dalle vicende pallonare. Né possiamo pensare che il confronto sportivo sia posto sullo stesso piano di una ‘competizione tra generi’ nella quale solo le donne possono soccombere. Non è una questione fisica, come qualche ‘vecchio’ commentatore vorrebbe far credere: non si tratta solo della possibilità di mettere in atto una azione violenta (da questo punto di vista la tecnologia bellica avrebbe da tempo parificato lo sforzo fisico necessario per togliere la vita ad un altro essere umano). Si tratta proprio di cultura della violenza e dell’aggressività che viene alimentata nel ‘maschio’ fin dalla più tenera età e che il disagio sociale che stiamo vivendo, nel nostro più ancora che negli altri Paesi, amplifica e distorce fino ad esplodere in casi che non sono più singoli, ma drammaticamente connaturati al tessuto culturale del nostro quotidiano.
Bene allora che, in concomitanza con la partenza della settimana della moda uomo milanese, centinaia di bambole siano state appese a un muro della città, per testimoniare che la violenza sulle donne è un crimine intollerabile. La moda ha fatto la sua parte affinché le coscienze si risveglino!
Mario Ongaro