Venezia e il Veneto vivono giornate assai difficili ( e dir così è già un eufemismo!). Lo ‘Scandalo Mose’ sta travolgendo le due amministrazioni, cittadina e regionale, con una ondata di fango che qualcuno aveva, inascoltato, ventilato fin dal primo giorno. In realtà chi contestò il Mose, chi lamentò la mancata procedura VIA, chi chiese che i lavori venissero assegnati sulla base di una gara oggi si ritrova messo alla stessa stregua di quanti invece questa colossale ‘opera pubblica’ l’hanno sostenuta e sollecitata.
Sia chiaro: negli anni sono cambiate molte cose, a cominciare dei soci di quel Consorzio Venezia Nuova che in origine raccoglieva nomi diversi dagli attuali e che non può essere genericamente considerato al pari di quanto è oggi. Sembrerebbe quasi che quella che fu l’origine è stata nel tempo ‘taroccata’ (per ragioni che non stiamo ora ad indagare), in un qualche modo una ‘contraffazione’ dell’originale. Ma non è nemmeno questo che può risolvere questa drammatica vicenda.
È all’origine che dobbiamo risalire per capire che non è solo questione di persone (come parrebbe dire il Presidente del Consiglio): il Mose è una ‘contraffazione’ di un’opera pubblica, un ‘falso’ rispetto a tutte le procedure che sono normalmente stabilite e seguite per tutti i lavori pagati con i soldi dei cittadini. Il meccanismo della ‘concessione unica’ che venne a suo tempo fortemente criticato ha mostrato tutta la sua fragilità: oggi riproporlo per altre operazioni sarebbe per lo meno ‘eticamente’ intollerabile. Nemmeno l’emergenza creatasi nei tempi di realizzazione dell’Expò può giustificare la ‘falsificazione’ dei nostri principi di tutela e di garanzia delle nostre leggi.
Chi ha barato, deve pagare. Ma favorire le occasioni per barare è politicamente altrettanto inaccettabile.
Mario Ongaro