La Confederazione italiana agricoltori (Cia), ha portato alla 47° edizione di ‘Vinitaly’, a Veronafiere, una serie di dati che dimostrano che, con la crisi, il vino italiano diventa ancora più protagonista nell’economia del Paese. Non solo perché continua a macinare successi oltreconfine, compensando il calo netto dei consumi interni, ma anche perché, in una fase di disoccupazione alle stelle, riesce a creare imprese e nuovi posti di lavoro, soprattutto tra i giovani e le donne.
Anche nel 2012 le bottiglie tricolori hanno premuto a fondo sul pedale dell’export, mettendo a segno una crescita in valore del 6,5% a quota 4,7 miliardi di euro per oltre 21 milioni di ettolitri consumati sui mercati stranieri. Vuol dire che, nonostante il calo produttivo per colpa del pessimo andamento climatico, l’Italia mantiene tuttora la leadership mondiale dei Paesi esportatori di vino con quasi il 22% del mercato globale.
Oggi nel mondo più di una bottiglia su cinque “parla” italiano. Con due cambiamenti importanti: si esporta meno quantità e più qualità, con un aumento delle vendite all’estero di rossi e bianchi certificati rispetto al calo del vino sfuso – osserva la Cia – e continua a crescere il ruolo giocato dal continente asiatico. Infatti nel 2012 a trainare l’export del settore sono stati prima di tutto Cina (+15%) e Giappone (+28%), seguiti dai mercati di riferimento più “tradizionali” come Stati Uniti (+6%) e Germania (+4%).

I numeri del vino: crescono gli occupati tra le vigne
Ma numeri straordinari, tanto più in questo momento storico, sono soprattutto quelli sull’occupazione nel “pianeta vino”. Sono ben 1,2 milioni i lavoratori impiegati in Italia nel settore tra vigne, cantine e indotto – spiega la Cia – con un aumento del 50% negli ultimi dieci anni. In più, un lavoratore dipendente su quattro tra i neo assunti nel comparto è un giovane, mentre tra le donne a capo di imprese agricole (490 mila in totale), quasi il 30% conduce un’azienda vitivinicola. Tra queste, il 70% lavora prevalentemente in cantina; l’11% si occupa della ristorazione; il 9% è sommelier e una percentuale identica è addetta alla comunicazione.
Eppure, nonostante successi e traguardi collezionati dal nostro vino, il comparto mantiene delle contraddizioni su cui bisogna intervenire. Innanzitutto – evidenzia la Cia – non basta raggiungere nuovi mercati all’estero, bisogna anche trovare nuovi consumatori “in casa”. Dal 1995 al 2012, infatti, il consumo pro capite di vino in Italia è passato da 55 a 39 litri, con una riduzione quindi di quasi un terzo. Complici la crisi economica, le diete, i nuovi stili di vita.
Anche lo stesso export, per intercettare al meglio la domanda proveniente dai nuovi bacini di consumo, richiede ora una piattaforma comune di filiera con un “contagio” positivo per tutte le aziende che operano nel settore.