Circa un terzo degli alimenti prodotti nel mondo viene buttato via e per i ragazzi è ‘immorale’ .

Otto ragazzi su dieci ritengono ‘immorale’ gettare via il cibo: lo sostiene la ricerca “Sprechi alimentari, uso della tecnologia e orientamento ‘Green’: un focus sulla GenZ”, condotta dal team scientifico coordinato dalla professoressa Laura Michelini (Economia e Gestione delle Imprese), e dal professor Massimiliano Scopelliti (Psicologia Sociale), dell’Università Lumsa, la Libera Università Maria Santissima Assunta non statale d’ispirazione cattolica con sede principale a Roma e sedi distaccate a Palermo e Taranto.
Il campione preso in esame dal gruppo di ricerca dell’Università Lumsa era composto da 665 giovani di età compresa tra i 18 e i 25 anni, di cui il 65% donne e il restante 35% uomini. Il 90% dei ragazzi nati nel primo decennio del nuovo millennio ha dichiarato agli intervistatori che è pronto a mangiare anche troppo pur di non gettare gli avanzi, ma la percentuale scende un po’ quando si tratta di organizzare la spesa settimanale: solo il 72% programma gli acquisti in modo tale da evitare l’acquisto di alimenti in eccesso.
Ancor meno diffuso l’utilizzo delle App per il food sharing che consentono di acquistare e ritirare presso punti vendita selezionati prodotti a prezzi scontati che altrimenti verrebbero sprecati: il 60% dichiara di non averle mai utilizzate; il 16,7% solo raramente, il 15,3% qualche volta, mentre solo 8% le utilizza abitualmente.

A livello globale vengono generati circa 931 milioni di tonnellate di rifiuti alimentari, di cui il 61% dal consumatore finale, il 26% dai servizi di ristorazione e 13% dalla vendita al dettaglio. Secondo il “Food Waste Index Report 2021” del Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (UNEP), le persone nel mondo sprecano 1 miliardo di tonnellate di cibo ogni anno e le stime evidenziano che l’8-10% delle emissioni globali di gas serra sono associate al cibo non consumato.
Rispetto ai temi della sostenibilità più in generale, il 70% del campione intervistato dichiara di essere una persona che si preoccupa delle questioni ambientali e il 45% dichiara di compiere scelte ecologiche nell’atto di acquisto. Questa discrepanza è peraltro ben nota negli studi scientifici, in cui agli “orientamenti” positivi non sempre seguono le condotte reali.