D’ora in poi le aziende che non riportano sulle confezioni il luogo di produzione non possono essere sanzionate: è la conseguenza pratica di una sentenza emessa dalla diciottesima sezione civile del tribunale di Roma in forza della quale è stata dichiarata “l’inapplicabilità della normativa interna e la non opponibilità ai privati” del decreto legislativo 145/17.
Con quel decreto l’allora Governo aveva provato a reintrodurre l’obbligo, decaduto nel 2011, della dicitura sullo stabilimento di origine in etichetta. Solo che il Governo non aveva rispettato le regole UE che prescrivono la notifica preventiva a Bruxelles di ogni progetto di norma nazionale relativa alla produzione e commercio delle merci. Naturalmente la sentenza non entra nel merito dell’utilità di una informazione che permette ai consumatori di scegliere i prodotti Made in Italy. Oltrettutto l’indicazione dello stabilimento è importante anche in caso di emergenze alimentari per individuare i prodotti a rischio e sottrarli al consumo più facilmente.

Prosegue la raccolta di firme in Europa per imporre l’obbligo di origine per tutti gli alimenti

Secondo una consultazione on line del Ministero delle politiche agricole alimentari, forestali e del turismo, fatta qualche anno fa, l’84% dei consumatori ritiene che l’obbligo di indicare nell’etichetta degli alimenti la sede e l’indirizzo dello stabilimento di produzione o di confezionamento, insieme alla provenienza degli ingredienti impiegati, sia un valore aggiunto.
Coldiretti, che era stata tra le promotrici del provvedimento per l’obbligatorietà dello stabilimento di produzione in etichetta, rilancia oggi la campagna europea, che vede associate altre nove organizzazioni agricole e ambientaliste, per l’obbligatorietà dell’indicazione in etichetta dell’origine di tutti gli alimenti, dalla carne di conisglio ai succhi di frutta. L’iniziativa, è stata autorizzata ufficialmente dalla stessa Commissione Europea.