Nonostante la lieve ripresa a livello congiunturale (+0,5 per cento), la situazione dell’agricoltura resta molto critica anche nell’ultimo trimestre dell’anno, come dimostra l’andamento del valore aggiunto del settore in termini tendenziali, che fa segnare un calo netto del 2 per cento. È quanto si apprende dal rapporto dell’Istat sui conti economici trimestrali. La Cia-Confederazione italiana agricoltori commenta che i “nervi scoperti” del settore sono noti: costi produttivi record, redditi sempre più “tagliati”, prezzi sui campi non remunerativi, burocrazia “elefantiaca”. Problemi atavici che avrebbero bisogno di interventi mirati – sostiene  la Cia – e che invece nel corso del 2011 si sono ulteriormente acuiti. Soprattutto il “caro-gasolio” ha contribuito a far schizzare in alto le spese degli imprenditori agricoli: nel complesso dei dodici mesi i costi di produzione sono cresciuti, infatti, del 6,3 per cento, con aumenti record per energia e lubrificanti (+13,2 per cento), concimi (+15,8 per cento), mangimi (+10,6 per cento) e sementi (+5,8 per cento).
La conseguenza è stata che nel 2011 gli agricoltori abbiano prodotto in perdita, anche perché all’aumento dei costi produttivi vanno aggiunte le spese contributive, previdenziali e burocratiche e anche gli effetti catastrofici di eventi come l’allarme E.coli o “batterio killer” (con un crollo delle vendite di ortofrutta e danni al settore per quasi 200 milioni di euro) e le alluvioni soprattutto in Liguria e Toscana (con campagne devastate, colture allagate e stalle e cascine crollate).
Per la Cia, il vero rischio è ora che migliaia di imprese agricole non riescano a sopravvivere ed escano dal mercato. Anche perché nel 2012 i costi aziendali potrebbero salire ancora, e in maniera esponenziale, se il governo va avanti sull’Imu: una sorta di “patrimoniale in campo” che si abbatterebbe per tre volte sul settore, tassando i terreni, i fabbricati rurali e i beni strumentali connessi all’attività agricola.