Abbiamo trovato davvero una forzatura l’annuncio dato, e acriticamente riproposto dalla maggior parte della stampa nazionale, del ritorno in etichetta dello stabilimento di produzione o di confezionamento dei prodotti alimentari che finiscono sulla nostra tavola. Come abbiamo avuto modo di scrivere su queste pagine, il Ministro Martina ha colto l’occasione di un passaggio formale   nell’iter previsto dalle regole parlamentari per dare per scontata una notizia che ancora non c’è.

Lo sappiamo, la legislazione italiana prevedeva rigorosamente quel’obbligo. Cosa voglia dire si spiega rapidamente con semplice esempio: l’acquirente va al supermercato, compra un prodotto che è a marchio di quella catena commerciale e non sa dove il prodotto sia stato confezionato perché anche sull’etichetta trova solo l’indirizzo della catena commerciale. Lo stabilimento di confezionamento può essere in Europa o, spesso, anche fuori da essa.

In ballo ci sono gli interessi dei più grandi gruppi internazionali. Ed è logico: chi vende latte (solo per fare un esempio) in tanti Paesi diversi, perché dovrebbe aver in ciascuno di essi uno stabilimento? Ed allora, signor Ministro, perché non dire che l’Italia farà il suo meritorio ‘tentativo’ per reintrodurre l’obbligo in etichetta, ma la decisione finale sarà prese in Europa, Quella stessa sede nella quale le grandi lobby hanno già vinto una volta.

E visto che abbiamo accennato al latte: basta il luogo di confezionamento indicato in etichetta e sarebbe opportuna anche una indicazione dell’origine della materia prima? Domanda evidentemente retorica, posta anche da Coldiretti: retorica perché evidentemente tutti risponderanno favorevolmente come consumatori informati. Ma altrettanto retorica perché ancor più difficilmente, usiamo un eufemismo, i grandi confezionatori accetteranno di rivelare dove vanno a prendere il loro latte. Chiedete, chiedete ai nostri avvevatori…..