Abbiamo scritto più volte della funzione trainante dell’agroalimentare per l’intera economia italiana, soprattutto negli anni più bui della crisi economica che ha colpito il sistema globalizzato per gli anni successivi al 2008. Ed anche noi abbiamo spesso sottolineato come questo sia stato possibile in forza delle esportazioni che hanno permesso al Made in Italy alimentare di conquistare sempre più spazio sulle tavole di tutto il mondo.
Questo non per sminuire il valore dell’industria manifatturiera che è, resta e resterà l’asse fondamentale della produzione e dell’export italiano. Sottolineare o dati positivi dell’agroalimentare non può infatti distorcere, ed il rischio è concreto ed attualissimo, il panorama dell’economia nazionale. Privilegiare i soli prodotti agroalimentari, per quanto di altissima qualità, non sarebbe saggio: quante tonnellate di frutta dovremmo esportare per pareggiare il valore economico di una macchina manifatturiera a controllo numerico Made in Italy?
E poi c’è il problema alla radice: è ben vero che l’occupazione in agricoltura cresce e che anzi, secondo gli ultimi dati diffusi dall’Ismea il numero di chi lavora in agricoltura è arrivato a superare di un +2% quello che si registrava prima della crisi economica, nel 2007. È l’unico comparto che, insieme al turismo crediamo, ha ottenuto un simile successo. E i giovani stanno tornando al ‘lavoro dei campi’, spesso come scelta etica.
Ma anche questa constatazione ha un cupo rovescio della medaglia, anzi due. Innanzitutto il reddito di un lavoratore agricolo italiano non arriva ad 8.000 €, quando la media negli altri settori produttivi supera i 20.000. In secondo luogo non dimentichiamo lo sfruttamento degli immigrati ed i fenomeni di caporalato ancora così abituali nelle campagne del sud. La reintroduzione dei voucher non va certo nella direzione di dare equità a questo comparto.