Bernard è un piccolo bambino francese al quale un cattivo uomo cinese ha rubato il giocattolo che gli aveva appena portato Babbo Natale.
Di cognome Bernard, che non è poi tanto piccolo avendo già compiuto settantadue anni, fa Arnault e dopo immani sforzi era ad un passo dal suo infantile sogno: diventare l’uomo più ricco del mondo. E c’era anche riuscito, in verità. Con una vita di sacrifici e di lavoro, compra qua e compra là, ha messo in piedi un impero raccolto in appena quattro lettere: LVMH (più Dior). All’inizio di agosto, le riviste specializzate lo davano in vetta alla classifica degli uomini più ricchi, davanti ai due ‘bambini’ che sognano di viaggiare tra le stelle: Jeff Bezos, fondatore di Amazon e nello spazio con Origin Blue, ed Elon Musk, che viaggia con la ‘sua’ Tesla e vola con Space X. Tutti e due saltati con un balzo solo e relegati agli scalini più bassi del podio. Passa Ferragosto ed ecco che arriva il cinese a rompere il giocattolo di Bernard.

Lasciando il tono scherzoso, Xi Jinping ha annunciato l’avvio di una nuova politica nel governo dell’oltre miliardo e 300 milioni di cinesi. Tornando dalle vacanze, Xi ha ribaltato la filosofia che negli ultimi anni aveva spinto i giovani più rampanti a farsi strada nell’economia nazionale e ha rilanciato la parola d’ordine del ‘benessere collettivo’. Il leader cinese è stato esplicito affermando che: “economia di mercato socialista con caratteristiche cinesi” impone di “regolamentare i redditi eccessivamente alti e incoraggiare i gruppi e le imprese ad alto reddito a restituire di più alla società”. Xi non aveva nemmeno finito di pronunciare queste frasi che già LVMH aveva perso 21 miliardi di dollari in borsa e Arnault il suo primo posto in classifica scavalcato dai 185,5 miliardi di Bezos e dai 177,4 di Musk.

La nostra preoccupazione, più che per le sorti personali del ‘paperone’ francese, guarda al futuro dei marchi italiani. Quelli controllati da LVMH, come Bulgari, Fendi, Loro Piana ad esempio, ma anche tutti quegli altri del Made in Italy che esportano verso la Cina: dalla moda di alta gamma al Prosecco e alle eccellenze tricolori dell’alimentare. Tutti prodotti che si rivolgevano alla classe con il maggior reddito disponibile. Se la borsa penalizza così pesantemente il colosso mondiale del lusso, tutti i comparti che, proprio in questi ultimi mesi, avevano visto rilanciare la propria attività nel post-pandemia grazie all’export verso l’oriente non possono ora vivere sonni tranquilli: le dimensioni della svolta politica cinese potrebbero avere conseguenze immediate e rilevanti, per tutti e soprattutto per una Paese come il nostro dallo scarso mercato interno e dalla forte propensione all’export.

Mario Ongaro