Anche nel settore della produzione della pasta la concorrenza di altri Paesi al ‘made in Italy’ si fa sentire sempre di più. A dirlo due nomi importanti del settore in Italia, Riccardo Felicetti, produttore e presidente del gruppo Pasta dell’Aidepi (Associazione delle Industrie del Dolce e della Pasta Italiane aderente a Confindustria), e Francesco Divella, imprenditore pugliese dell’omonimo pastificio che dal 1905 a oggi è arrivato alle terza generazione.
Naturalmente l’Italia mantiene tutt’oggi la leadership di primo produttore di pasta al mondo e l’export continua a marciare spedito. Ma la concorrenza di attori stranieri, soprattutto turchi e spagnoli, sui mercati esteri mina sempre di più un settore praticamente saturo. Ed è guerra di prezzi per conquistare gli scaffali delle grandi catene della Gdo fuori dai confini nazionali. «L’Italia – afferma Riccardo Felicetti – produce un quarto della pasta a livello mondiale, ma gli altri tre quarti sono prodotti non in Italia e la situazione è pesantissima sui mercati emergenti dove non si cercano prodotti di alta gamma e si deve combattere contro la concorrenza dei pastifici turchi e spagnoli. È una vera e propria battaglia sui prezzi”. A questi si aggiungono nuovi concorrenti visto che si comincia a produrre pasta in maniera sistematica in Africa. Il rischio di “perdere identità“ per la pasta italiana dunque è reale.

La pasta: ma il grano italiano è solo il 40%
Per Francesco Divella «la pasta è uno dei pochi settori in Italia che non sta subendo la crisi sia per il buon andamento delle esportazioni sia in rapporto ai consumi interni. In Italia infatti, il consumo medio procapite è molto alto, il maggiore al mondo con 26 kg all’anno, una quantità che sale fino a 35 kg nelle regioni del Sud. Tuttavia, uno dei problemi più sentiti è legato alla distribuzione del prodotto e, in particolare, nel rapporto con la Gdo che è controllata per il 70% da una decina di catene straniere: un punto negativo della politica italiana degli ultimi 30 anni».
Le coltivazioni italiane riescono a coprire il 40% del fabbisogno di grano duro per la produzione e le spighe sono mediamente di qualità inferiori. «Da sempre – confessa Divella – il nostro pastificio miscela diversi tipi di grano e si rifornisce da Stati Uniti, Australia e Canada dove si coltivano i grani migliori, multiproteici, che garantiscono un sapore migliore e una maggiore resistenza alla cottura».
L’ideale per gli industriali della pasta italiani sarebbe diminuire le percentuali di importazioni, arrivare ad acquistare l’80% del grano in Italia e il restante 20% fuori, ma é difficile per le resistenze degli agricoltori e per situazioni ataviche come la proprietà terriera, ancora molto spezzettata.