Giovanni Gorga, presidente di Omeoimprese, l’associazione italiana delle aziende che operano nel settore dell’omeopatia, ha chiesto al Ministero della salute di prorogare, di almeno un anno, la scadenza di fine giugno per la presentazione all’Agenzia italiana del farmaco, AIFA, della documentazione necessaria per ottenere l’autorizzazione a lasciare sugli scaffali i prodotti omeopatici. La legge è in vigore da oltre due anni, con la “stabilità 2015”, ed è già stata oggetto di una prima proroga. Ma buona parte dei 13mila prodotti oggi acquistabili non hanno ancora presentato la certificazione richiesta e potrebbero restare in vendita solo fino al 31 dicembre 2018.
Va subito sottolineato che il Presidente dell’Istituto superiore di sanità ha più volte rimarcato che i trattamenti omeopatici non sono efficaci, e che nel proprio ruolo sente di avere un obbligo morale, scientifico e finanziario di garantire terapie sicure ed efficaci, vagliate dalle più affidabili metodologie scientifiche.

Sono prodotti che ingenerano una attesa sanitaria che la scienza respinge

In realtà Gorga adduce alla sua richiesta motivazioni che non sono affatto sanitaria, quanto piuttosto ‘industriali’: dai 60 agli 80 milioni di euro all’anno di tasse pagate dalle aziende grazie a un fatturato che sfiora i 300 milioni e 4mila posti di lavoro attualmente occupati.
D’altro canto è ormai assodato da molti studi internazionali che l’omeopatia non funziona. Negli Stati Uniti, la scelta è stata di mantenere tutti i prodotti in commercio, obbligando però i produttori a dichiarare in etichetta l’inefficacia dei rimedi. Diversa la procedura scelta dall’Europa: l’omeopatia ingenera nell’acquirente la convinzione di un beneficio generato dal prodotto. Non si tratta quindi di normali caramelle di zucchero che possono essere trattate alla stregua di patatine fritte.