L’ultimo “Rapporto sulla Competitività dell’agroalimentare italiano “predisposto da Ismea ha certificato che, nel 2017, il settore agroalimentare ha occupato 1 milione e 385mila persone, pari al 5,5% degli occupati in Italia a fine dello scorso anno. Nel dettaglio l’agricoltura ha assorbiti oltre 900mila lavoratori, mentre l’industria alimentare ha originato circa 465mila posti di lavoro.
L’analisi fatta da Ismea prosegue sottolineando che in tutte le economia avanzate, l’agricoltura vede ridursi il numero degli addetti, ma il fenomeno in Italia ha contorni assolutamente peculiari: guardando all’evoluzione del lavoro agricolo nel nostro Paese, la riduzione del numero degli addetti negli ultimi 10 anni è stata del -6,7%, a fronte del -17,5% in media nella Ue, e si è interrotta a partire dal 2013, spuntando nell’ultimo quinquennio un recupero del +3%. Secondo l’Istituto, e secondo molti osservatori del settore, in Italia la ‘tenuta’ del lavoro agricolo è dovuta alla spinta della componente giovanile. Una spinta talmente forte da essere “in marcata controtendenza rispetto alla dinamica negativa prevalente in Europa (-7,4%)”.

Il problema è la retribuzione dei lavoratori: in agricoltura è meno della metà rispetto agli altri settori

Per quanto riguarda l’industria alimentare, quella italiana ha visto aumentare nell’ultimo decennio il numero degli occupati, in controtendenza rispetto al resto dell’economia, e oggi è a un livello superiore del +2% rispetto all’anno pre-crisi, il 2007, con un incremento più netto negli ultimi 5 anni.
Non tutto il panorama però è ‘rose e fiori’: come costo del lavoro, l’Italia è al terzo posto dietro a Francia e Germania, ma patisce una forte incidenza degli oneri sociali. Ciò che più pesa, tuttavia, è il divario tra le retribuzioni in agricoltura e quelle del complesso dei settori economici. In Italia il salario annuo per il lavoratore agricolo è di 7.930 euro rispetto ai 20.133 per la media di tutti i settori di attività economica.