A rilanciare il tema degli accordi commerciali transoceanici è questa volta il vino. Abbiamo anche noi parlato del TTIP, cioè il trattato commerciale tra l’Europa e gli Stati Uniti, come di una trattativa naufragata tra le pretese delle grandi multinazionali a stelle e strisce contrapposte alla naturale esigenza europea di salvaguardare le proprie produzioni di qualità. A far risorgere qualche speranza potrebbe essere la definitiva approvazione da parte dell’Unione Europea dell’accordo con il Canada: qui la sigla è CETA e la sostanza appare ben diversa, certamente per il mondo del vino italiano. Fin qui le esportazioni erano regolate dal trattato ‘Wine & Spirits’ del 2004 e, come dice Antonio Rallo, presidente di Unione Italiana Vini (UIV), il CETA rafforzerà la protezione dei vini ad Indicazione Geografica, integrando e migliorando l’accordo precedente. Si tenga conto che nel 2015 il vino Made in Italy ha avuto proprio il Canada quale quinto mercato di sbocco (dopo Germania, Gran Bretagna, Francia e USA) e che l’anno scorso ha fatto registrare un incremento del +8,4% rispetto al 2014, per un valore di 300 milioni di Euro.  Servirà questa intesa canadese a rilanciare anche la trattativa con i confinanti States? Impossibile dirlo oggi, prima delle elezioni in quel grande Paese. Ma c’è un passaporto che comunque il vino tricolore potrà sempre più vantare: si chiama qualità. Alla recente presentazione della Guida Vitae 2017 i sommelier dell’Ais, Associazione Italiana Sommelier, hanno garantito che la qualità dei vini Made in Italy “è sempre più diffusa e consolidata”. Ne hanno assaggiati ben 35.000 di vini, un terzo quelli poi entrati in guida, e visto che il consumo nazionale è in costante calo per tanti la strada dell’export è l’unica percorribile, e la più redditizia.