Il prestigioso “European Journal of Clinical Nutrition 2016” ha riportato uno studio condotto su 101 cibi venduti negli Stati Uniti che non erano etichettati come “senza glutine”, ma per i quali i consumatori potevano supporre che lo fossero, poiché non erano presenti nell’elenco degli ingredienti il grano, l’orzo, la segale, il malto o il lievito di birra. Alcuni dei prodotti avevano etichette che avvertivano della possibile presenza di glutine. Tuttavia, degli 87 prodotti privi di etichette di questo tipo, 13 articoli, il 15%, sono risultati positivi al glutine.
Lo studio fa luce sui limiti delle note di avvertenza di possibili allergie, informazioni volontarie fornite sulle etichette dei prodotti venduti negli USA che fanno notare, ad esempio, quando i cibi vengono lavorati nella stessa struttura in cui avviene la lavorazione di grano o noci. Le linee guida della U.S. Food and Drug Administration richiedono che i prodotti confezionati etichettati come “senza glutine” contengano meno di 20 parti per milione di glutine. L’obiettivo di queste norme è limitare l’esposizione al glutine per le persone affette da celiachia. Tra gli 87 prodotti privi di avvertenze sulle allergie, 74 contenevano poco o niente glutine. Altri nove articoli ne presentavano in quantità che oscillavano dalle 5 alle 19 parti per milione, 4 avevano almeno 20 parti per milione di glutine. «Le note precauzionali sulle etichette del tipo “potrebbe contenere…” – spiega Smith Edge, dietologa ed ex presidente dell’Accademia di Nutrizione e Dietetica – lasciano incertezze ai consumatori poiché attualmente non esistono normative per assicurarne la standardizzazione».