Non solo un problema di trasporti internazionali: ogni Paese vuole conservare le proprie risorse

Il Coronavirus sta producendo effetti catastrofici in tutti i settori economici e produttivi, in particolare del settore dell’agroalimentare Made in Italy che rappresenta il 12% del PIL nazionale, con circa 205 miliardi di euro. Se poi si considerasse tutta la filiera, sino alla ristorazione, si parlerebbe di un giro d’affari pari a 538 miliardi di euro, il 25% del PIL.
Ad incidere negativamente sulla crisi del settore agroalimentare contribuisce pesantemente la concorrenza tra Paesi per garantire l’accesso sicuro a prezzi contenuti per i prodotti alimentari. Dal lato dell’import, molti stati stanno agendo per garantire la fornitura dei prodotti interni. È il caso, ad esempio, della Cina che ha raddoppiato le riserve di riso.
Dal lato dell’export, invece, molti altri Paesi stanno adottando politiche di restrizione. È il caso del Vietnam che dal 24 marzo ha temporaneamente sospeso l’assegnazione di nuove licenze di esportazione. La Russia, invece, ha vietato le sue esportazioni per dieci giorni e ha proposto una quota di esportazione di grano, mais, orzo e segale da aprile a giugno per contribuire a stabilizzare il mercato interno.

Altro problema, poi, riguarda la mancanza di lavoratori stagionali: per quanto riguarda l’Italia, la manodopera stagionale straniera rappresenta il 27% del totale, che in termini assoluti vuole dire 370.000 persone. Per far fronte all’emergenza nel settore agro-alimentare, la Banca europea per gli investimenti, BEI, ha sbloccato 1,6 miliardi di euro di finanziamenti. La mission è quella di supportare le imprese nel settore di approvvigionamento. Saranno quindi erogati prestiti da 15 a 200 milioni di euro per sostenere la protezione ambientale e l’efficienza delle risorse naturali, l’energia rinnovabile, l’innovazione, la competitività e l’efficienza energetica.