«La ripresa dei consumi rilevata nel 2015 rispetto al 2014 è ancora troppo debole per permettere il recupero del crollo della spesa registrato nei tre anni precedenti. Il ritorno in territorio positivo dei consumi avvenuto lo scorso anno ha riguardato soprattutto i beni durevoli, le cui vendite sono cresciute del 7% nel solo 2015, mentre il resto è rimasto al palo». Lo spiega Mauro Bussoni, segretario generale Confesercenti.
In casa Confesercenti si ricorda che la diminuzione di vendite registrata in molti comparti suggerisce che la domanda dei consumatori sia in questa fase più debole di quanto previsto. In questo scenario, bisogna correre ai ripari attivando un intervento coraggioso, che dia un po’ di ossigeno alle famiglie e aiuti la ripartenza della spesa perché oggi la crescita del Pil può provenire solo dai consumi, visto che gli investimenti hanno ancora bisogno di tempo per manifestarsi. La crisi ha fatto fare agli italiani un passo indietro sull’alimentazione di qualità, la moda e perfino la formazione e l’istruzione. È quanto emerge dalle stime dell’Ufficio Economico di Confesercenti, elaborate a partire da dati Istat, tenendo in considerazione la spesa media annuale effettiva, al netto quindi dei fitti figurativi.

Cambia la spesa degli italiani e ci rimette la qualità
L’analisi delinea un quadro di persistente difficoltà. Nonostante la lieve ripresa dei consumi registrata nel 2015, i bilanci e le spese degli italiani continuano ad essere distanti dai livelli pre-crisi: nell’anno appena concluso, la spesa media annuale delle famiglie si è attestata su 22.882 euro, ancora 856 euro in meno rispetto al 2007, mentre i risparmi familiari, nello stesso periodo, si sono contratti addirittura del 25%. Crescono, invece, le spese fisse, che assorbono una quota sempre maggiore del budget familiare.
Rispetto al 2007, i nuclei del nostro Paese spendono molto di più per le uscite legate alla casa, all’acqua, all’elettricità e ai combustibili per il riscaldamento (+536 euro), ma anche per le spese sanitarie e per la salute (+142 euro). L’aumento dei costi fissi ha portato le famiglie a tagliare il budget riservato alla maggior parte delle voci di spesa, preferendo prodotti di minor valore o rinunciando a beni e servizi percepiti come non indispensabili. Il fenomeno di orientamento verso il basso della spesa diventa più evidente se si esamina il dettaglio dei prodotti alimentari. Cresce infatti la spesa per frutta e ortaggi (+164 euro rispetto al 2007) e per zuccheri e dolciumi (+92 euro), ma diminuiscono le risorse destinate a tutti i prodotti di maggior costo e pregio: la carne (-100 euro) e il pesce (-74 euro), il pane e cereali (-68 euro), l’olio (-51 euro), il latte, i formaggi, le uova (-48) e le bevande (-6).

Cambia la spesa degli italiani e ci rimette la qualità
Tra i prodotti no food, spicca il calo dell’abbigliamento e delle calzature (-512 euro rispetto al 2007), ma anche della spesa per i mobili, gli articoli e servizi per la casa (-475 euro) e il crollo del budget per alberghi e ristoranti (-304 euro).
Preoccupante il dimezzamento delle spese riservate all’istruzione, che tra il 2007 ed il 2015 passa da 304 a 173 euro, con un calo del 43%. Un dato su cui pesa la rinuncia a libri, corsi privati e formazione, ma su cui incide anche il calo di iscrizioni di giovani alle università. Il calo maggiore, però, è registrato da trasporti e carburanti: nel 2015 le famiglie italiane hanno speso ben 1.290 euro in meno rispetto al 2007. Un taglio dovuto anche dalla diminuzione dei prezzi dei carburanti che ha permesso alle famiglie di risparmiare 212 euro l’anno. Ma la riduzione della spesa deve essere addebitata per la maggior parte ad un minor consumo di carburanti e al mancato rinnovo del parco auto. Aumentano, invece, le spese per la cura della persona, i servizi di assistenza sociale e assicurazioni (+945 euro), quelle per spettacoli (+184) e comunicazioni (+149), voce che include smartphone e contratti di telefonia, nati proprio nel 2007 e ormai diventati un vero e proprio fenomeno culturale ed una necessità lavorativa.