Dialogo con le grandi famiglie della moda per capire le prospettive e le strategie per il futuro

Venticinque interviste a imprenditori del Made in Italy, custodi di tradizioni familiari e innovatori instancabili sono il cuore della nuova pubblicazione di Deloitte, la famosa azienda di servizi di consulenza, in collaborazione con Scuola Holden, agenzia di specialisti nello storytelling. Il volume “Making IT – Fitting the future” è stato presentato nelle sale del Parlamento europeo, a Bruxelles, presente il vicepresidente Fabio Massimo Castaldo.
L’export d’abbigliamento di lusso italiano dentro e fuori dall’Europa, che rappresenta il 70% del fatturato annuale complessivo del Paese (95, 5 miliardi per il 2018), deve oggi confrontarsi con la concorrenza dei non meno ambiziosi tedeschi e cinesi.

Le imprese italiane “stanno reagendo con flessibilità”, afferma Patrizia Arienti, Senior partner Deloitte ed EMEA Fashion & Luxury leader, ma i mutamenti degli equilibri geopolitici restano un fattore da tenere sotto controllo. Anche le trasformazioni culturali sembrano influire sull’andamento dell’industria del fashion nostrano: l’emergere di un nuovo consumatore, sempre più connesso e informato, impone alle imprese d’insistere ancor più su innovazione e unicità, mantenendo i ritmi di produzione sempre più elevati.

Per sopravvivere all’egemonia dei social network e al progressivo sostituirsi delle transazioni online al rapporto privilegiato tra cliente e venditore il sistema moda italiano sta puntando sulla condivisione di valori, tra cui spicca la sostenibilità ambientale. “La ricerca di soluzioni a ridotto impatto ecologico ha portato le aziende italiane del comparto a considerare nuovi processi di produzione”, spiega Arienti. Un’attenzione confermata dall’adesione di 30 brand internazionali del lusso al Fashion Pact, un patto tra aziende private e Stati nazionali per stimolare una creatività rispettosa dell’ambiente. L’ultima sfida, la più impellente, riguarda l’attrazione di nuovi talenti. Nonostante il comparto italiano generi il 34% del valore aggiunto a livello europeo, occupando un quinto dei lavoratori dell’Eurozona (22%), i giovani sono ancora poco propensi a cercare impieghi nell’industria manifatturiera. “Alcune delle aziende intervistate si stanno muovendo per contrastare questa tendenza”, afferma Alessandro Fontana, partner di Deloitte. “Per far ciò – continua – bisogna partecipare alla formazione della forza lavoro del futuro, costruendo le competenze che serviranno in un domani molto vicino, ma anche tramandando, di generazione in generazione, l’arte di saper fare”.