New York consacra una tendenza di nicchia, ma in crescita: materiali sostenibili e niente sesso .

“What is a man” (Cos’è un uomo) non è una domanda ma un’affermazione: è la risposta-dimostrazione data sulle passerelle di New York con la sfilata dell’ultima collezione di ‘moda agender’ del marchio Official Rebrand, che segna il debutto nel calendario ufficiale della fashion week al New York Men’s Day.
Ed ecco allora che il modello sfila con il corsetto steccato color carne e i pantaloni in tela tagliati sotto il ginocchio con le scritte in rosso: oppure porta il kimono, la cappa di piumino e i mocassini con fiocco. Il designer Mi Leggett si definisce “non binario”, ossia nè maschile nè femminile, e il suo cast di modelli è prevalentemente “non conforme al genere”: la collezione conferma che la fluidità di genere nella moda è un trend decisamente emergente, per quanto di nicchia.
Sulle stesse passerelle c’è anche l’ultima collezione agender del marchio Ka Wa Key che si è ispirato al celebre racconto “Il piccolo principe” di Antoine de Saint-Exupéry con maglie a trama morbida, stampe infantili e materiali sostenibili. Ka Wa Key è un‘etichetta di moda fluida con sede a Londra, disegnata dal duo di stilisti anglo-finlandesi Key Chow e Jarno Leppanen, che lavorano con materiali sostenibili per rielaborare l’abbigliamento casual maschile attingendo dalle loro radici asiatiche e scandinave.

Lo stile agender si era visto anche a Firenze, al recente Pitti Uomo, con la sfilata a Palazzo Corsini di uno degli ospiti d’onore dell’edizione di gennaio, il marchio Telfar, fondato nel 2005 a New York dallo stilista nato nel Queen a NY da genitori liberiani, Telfar Clemens, specializzato in moda fluida, in stile agender, unisex.
Ora questa tipologia, massima espressione dell’inclusività, ha il suo spazio nei calendari ufficiali della moda americana. Un trend già colto da alcuni negozi di New York. Nella collezione “What is a man”, tutti i capi sono creati esclusivamente con materiali riciclati e pertanto rifiutano il trattamento patriarcale dell’abbondanza naturale della Terra come risorse da estrarre a scopo di lucro mirando invece a esprimere fluidità attraverso la trasformazione di materiali ‘non violenti’.