Senza un compratore la Stefanel morirà, senza una politica di sostegno sarà crisi per la Brioni .

Nemmeno un settore trainante del Made in Italy quale è quello della moda guarda con serenità alla fine dell’estate: di situazioni che destano forti preoccupazioni se ne segnala più d’una (e l’assenza di un governo credibile non farebbe altro che indebolire le trattative in corso).
A cominciare dalla crisi di Stefanel che molto si avvicina alla cronaca di una morte annunciata. I numeri dicono che fino al 2000, nella sede di Ponte di Piave, in provincia di Treviso ad occuparsi della produzione erano 600 operai. Ma da allora la manodopera impiegata è andata progressivamente riducendosi fino a raggiungere oggi un numero che va attorno ai 100 lavoratori. Ma anche questi presto potrebbero trovarsi in mezzo ad una strada se entro fine anno non sopraggiungerà un’offerta d’acquisto. Altrimenti l’azienda chiuderà definitivamente per cessata attività.
Forte la preoccupazione anche per l’azienda di abbigliamento maschile Brioni, del gruppo della holding francese Kering: nonostante gli investimenti effettuati e le ristrutturazioni attuate, l’azienda continua ad essere una realtà in perdita. A settembre, le organizzazioni sindacali torneremo a chiedere un incontro con l’Azienda per avere indicazioni sul richiesto piano di rilancio del marchio e una strategia per salvaguardare i livelli occupazionali.

Daniela Piras
Segretario nazionale UILTEC

Brioni perde milioni ogni anno eppure era un’azienda che vendeva capispalla da uomo a clienti facoltosi in tutto il mondo. Da anni non è più così: cambiare stilisti, risparmiare su professionalità e disperdere il know-how vuol dire investire in modo sbagliato sul rilancio del marchio. Bastava seguire l’esempio di ‘Loro Piana’, ormai di proprietà del francese Lvmh, che nei periodi di bassa produzione anziché ricorrere agli ammortizzatori sociali, ha continuato a investire per riconvertire e formare le professionalità, puntando sulla produzione di tessuti e tinture naturali ed eco-friendly. L’accordo sulla Via della Seta siglato tra Italia e Cina è una scatola vuota. Inutile esportare le arance della Sicilia. Per rilanciare il mercato serve altro, occorre investire sul Made in Italy. Impossibile, però, senza una politica industriale.