La paralisi nel mondo occidentale ha gettato sul lastrico milioni di lavoratori del fast fashion

Negozi di scarpe e abbigliamento chiusi; sfilate cruise cancellate; ordini azzerati o ritardati: per il sistema moda l’emergenza Covid-19 sta segnando un momento di grande difficoltà in Europa, negli Stati Uniti e in molti altri Paesi. Ma per i Paesi dove la moda viene prodotta, a basso prezzo, si parla di un vero e proprio “disastro umanitario”.
L’espressione è stata utilizzata da Simone Cipriani, fondatore e direttore della Ethical Fashion Initiative, un ente delle Nazioni Unite che mette in contatto piccole comunità di artigiani con grandi marchi internazionali. Infatti, i grandi marchi di abbigliamento, soprattutto quelli di fast fashion come le catene H&M, Zara e Forever 21, commissionano la fattura di scarpe e vestiti nelle fabbriche cinesi e dei Paesi emergenti asiatici. In questi ultimi le conseguenze della pandemia potrebbero abbattersi molto pesantemente sulle persone meno tutelate perché i proprietari delle fabbriche di tessuti e di vestiti rischiano la bancarotta e sono in ballo gli stipendi di milioni di lavoratori.
Molte fabbriche sono rimaste aperte nonostante le restrizioni per contenere il coronavirus approvate nei loro paesi, come in India e in Bangladesh. Alcune hanno introdotto nuove norme che garantiscono la distanza di sicurezza del personale ma parecchie operano come al solito, con i lavoratori ammassati in stanze scarsamente ventilate e con un solo bagno comune, tutte cose che favoriscono il contagio.

È possibile che molti dipendenti finiscano a lavorare in nero o ad accettare paghe minori e condizioni di scarsa sicurezza, pur di portare dei soldi a casa. Altri sono stati licenziati da un momento all’altro dopo che i grandi marchi hanno cancellato gli ordini o non hanno evaso i pagamenti dovuti.
In Bangladesh, che è il secondo paese esportatore di abbigliamento al mondo dopo la Cina, più di un milione di impiegati nel settore dell’abbigliamento sono già stati licenziati o si trovano in cassa integrazione, molti senza ricevere lo stipendio.