La chiamano “Modest Fashion”, è una moda semplice e sobria rispettosa dei valori cui si ispirano le donne e gli uomini musulmani. Abiti colorati, ma sobri; che coprono braccia e corpo, ma alla moda. La “Modest Fashion” nel 2014 ha generato un giro d’affari di circa 300 miliardi di dollari e gli esperti giudicano che entro il 2019 dovrebbe attestarsi attorno a quota 484 miliardi. Di moda islamica si è parlato nel corso del recente “Turin Modest Fashion Roundtable”, organizzato dal Comune di Torino, Thomson Reuters e Dubai Chamber.

Un mercato, quello musulmano, promettente e immenso che le case di moda occidentali non possono certo ignorare: Gianmarco Montanari, direttore generale per lo sviluppo economico della città di Torino e promotore dell’iniziativa fa notare che: «Diversamente da settori quali la finanza islamica e il cibo halal, qui non esiste una certificazione in grado di stabilire precisi criteri ai quali debbano attenersi le imprese che intendono investire». Tra i Paesi con il più alto numero di consumatori musulmani ci sono la Turchia (39,3 miliardi di dollari), gli Emirati Arabi Uniti (22,5), l’Indonesia (18,8), l’Iran (17,1), l’Arabia Saudita (16) e la Nigeria (14,4). E poi sono sempre più numerosi i fedeli in Europa con Francia, Germania e Regno Unito che insieme hanno superato i 25 miliardi di dollari di consumi.

Ampie prospettive per i brand occidentali nella moda islamica

Nell’industria islamica, spiega Alia Khan, presidente dell’organizzazione creata per lo sviluppo dell’industria della moda islamica nel mondo, esiste un vero e proprio vuoto da parte dei produttori occidentali: «C’è poca consapevolezza e poca capacità di aggredire questo mercato ancora inesplorato. Anche da parte delle aziende italiane».

A lanciare collezioni per il Ramadan, il mese sacro al digiuno, sono state nel tempo griffe come DKNY, che è stata la prima tra le grandi firme, seguita poi da case che alla donna musulmana hanno dedicato parte delle loro linee quali Valentino, Dolce & Gabbana, Prada, Victoria Beckham, Yohji Yamamoto. Anche marchi più popolari, come Zara, H&M e Mango, quest’anno hanno lanciato una loro Ramadan Collection. «Ma non basta – continua Alia Khan – serve uno studio più attento dei consumatori musulmani che non si sentono compresi al 100%». L’Islamic Fashion and Design Council Indubbio sta lavorando a un marchio “iFash”, Islamic fashion, che consenta, ai brand intenzionati, di investire nella moda islamica ottemperando ad alcuni requisiti indispensabili. Al tempo stesso offrendo ai potenziali clienti una certificazione per i loro acquisti che garantisca il loro essere “modest”.