Con una (contro)sfilata a Pechino, Greenpeace international ha lanciato un allarme sui capi d’abbigliamento di alcune delle più note case di moda: l’accusa è che rilascino nell’ambiente sostanze nocive che possono interferire con gli ormoni umani o provocare il cancro. Secondo l’associazione ambientalista, le analisi dimostrerebbero un collegamento tra impianti tessili e la presenza di sostanze chimiche pericolose nei prodotti finali. E proprio gli impianti tessili sarebbero i principali responsabili dell’avvelenamento dei corsi d’acqua.
Le sostanze trovate da Greenpeace contribuirebbero all’inquinamento dei corsi d’acqua in tutto il mondo sia durante la produzione, sia nel lavaggio domestico. Per ogni marca, uno o più articoli analizzati contengono Npe (composti nonilfenoloetossilati) che possono rilasciare i corrispondenti nonilfenoli, in grado di alterare il sistema ormonale. I livelli più alti, superiori a 1 ppm, sono stati trovati per i marchi Zara, Metersbonwe, Levi’s, C&A, Mango, Calvin Klein, Jack & Jones e Marks & Spencer.
I capi d’abbigliamento analizzati sono stati prodotti soprattutto nel Sud del mondo con fibre artificiali e naturali. I capi analizzati da Greenpeace sono di vario tipo e comprendono biancheria intima per uomo, donna e bambino, pantaloni, jeans, giacche, t-shirt, abiti da donna. Greenpeace richiede alle aziende della moda sotto accusa di agire immediatamente per arginare il problema, eliminando le sostanze chimiche nocive ed inquinanti utilizzate nelle fasi produttive dei loro capi di abbigliamento.
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