I Governi e tutte le istituzioni lavorino per abbattere le troppe barriere all’export che oggi minacciano di bloccare lo sviluppo di dell’export di vino italiano verso mercati in forte espansione come quelli di Cina e Russia. L’appello è stato lanciato da esperti, produttori vinicoli e rappresentanti internazionali riuniti da FORAGRI, il Fondo paritetico interprofessionale nazionale per la formazione continua in Agricoltura, per il convegno “Sviluppo e barriere al commercio internazionale del vino: UE – Russia – Cina”, che si è tenuto all’Accademia dei Georgofili a Firenze in occasione della chiusura del 68° Anno Accademico dell’Accademia Italiana della Vite e del Vino.
«Malgrado le grandi opportunità di sviluppo – spiega Davide Gaeta, professore dell’Università di Verona e membro dell’Accademia della vite e del vino tuttora siamo abbandonati dalle istituzioni. Il sistema delle imprese si muove da solo, in assenza di una concreta politica di negoziazione internazionale che abbia ottenuto vantaggi effettivi. Le barriere che in passato erano principalmente tariffarie adesso sono di tipo tecnico: sugli standard, le certificazioni e i controlli che rendono molto onerosa l’esportazione in quanto aggravano le imprese di costi aggiuntivi».

Nuove barriere non più tariffarie, ma burocratiche stanno limitando il libero scambio delle merci

«La missione di Foragri – dichiara Stefano Bianchi, presidente dell’organizzazione è quella di sostenere le aziende agroalimentari più innovative e dinamiche nei loro processi di sviluppo, attraverso la formazione, la crescita professionale e le competenze delle risorse umane. Siamo convinti che in questo momento l’innovazione nelle imprese riguardi principalmente l’internazionalizzazione e l’introduzione di nuove tecnologie».
«Il passaggio dal multilateralismo a logiche bilaterali, registrato negli ultimi anni a livello di accordi commerciali internazionali – aggiunge Ernesto Abbona, presidente di Unione Italiana Viniha certamente indebolito la spinta verso politiche di libero scambio su scala mondiale riflettendosi negativamente anche nelle dinamiche di sviluppo economico di molti paesi. Le barriere non tariffarie sono diventate forme mascherate di protezionismo con conseguenze negative per l’economia globale e per gli Stati che le attuano, perché innescano spirali protezionistiche dannose per tutti. A partire dai consumatori, che sono i primi a pagare i dazi con prezzi crescenti dei prodotti».