L’aumento dell’Iva avrà un ulteriore effetto depressivo sui consumi di vino, dopo il crollo record del 7 per cento degli acquisti familiari fatto segnare nel primo trimestre del 2013. È la Coldiretti a lanciare l’allarme in vista del primo luglio, quando, se non interverranno modifiche, l’Imposta di valore aggiunto passerà dal dal 21 al 22 per cento su alcuni prodotti tra cui, appunto, il vino.
L’aumento dell’aliquota rischia – sottolinea la Coldiretti – di dare il colpo di grazia agli acquisti sul mercato nazionale che sono scesi al minimo storico dall’Unità d’Italia. Nello spazio di una decade, gli italiani – continua la Coldiretti – hanno detto addio ad un bicchiere di vino su quattro, tanto che i consumi nazionali sono scesi ad appena 22,6 milioni di ettolitri, rispetto ai 29 milioni di ettolitri bevuti negli Stati Uniti e ai 30,3 milioni di ettolitri della Francia che detiene il primato mondiale.
L’Italia – precisa la Coldiretti – è addirittura tallonata da vicino dalla Germania e soprattutto dalla Cina con un consumo interno di 18 milioni di ettolitri in rapida crescita (+9 per cento).

Iva e vino: l’export in Usa e Cina salva il Made in Italy
In compenso, l’Italia resta saldamente il maggior esportatore di vino nel mondo dove quasi una bottiglia scambiata su cinque è Made in Italy. Con un valore record delle spedizioni di 4,7 miliardi di euro nel 2012, il vino si classifica come il prodotto agroalimentare italiano più esportato nel 2012.
Negli Stati Uniti il vino italiano – sottolinea la Coldiretti – supera lo storico tetto di un milione di euro in valore, con un aumento del 6 per cento mentre un incremento a due cifre si registra in Cina, dove le bottiglie tricolori stanno conquistando sempre più spazi di mercato (+17 per cento, da 66 milioni a 77 milioni). Ma – continua la Coldiretti – è l’intero continente asiatico a rivelarsi terra di conquista per i nostri prodotti, con un aumento netto del 20 per cento. Tra le destinazioni storiche – conclude la Coldiretti – si registra un aumento del 4 per cento in Germania che è il secondo mercato dopo gli Usa, del 5 per cento in Gran Bretagna, dell’11 per cento in Canada mentre c’è un calo del 15 per cento in Russia.