Per l’Italia era iniziata bene l’annata commerciale, ma non c’è nessuna certezza sul dopo virus .

2020: i primi due mesi dell’anno per il commercio mondiale del vino avevano eletto l’Italia a protagonista. Lo rilevano le elaborazioni dell’Osservatorio Vinitaly-Nomisma Wine Monitor nel focus rilasciato sulle vendite di vino nei Paesi extra-Ue sulla base dei dati doganali: poi però è arrivato marzo e tutto è cambiato.
Da un lato c’erano gli Usa che, in previsione dell’aumento dei dazi aggiuntivi, avevano fatto incetta di prodotto, chiudendo il trimestre con le importazioni dal resto del mondo a +10,9% a valore.
Dall’altro c’era la Cina, per la quale l’emergenza sanitaria era già ad uno stadio avanzato, che ha segnato un decremento delle importazioni che sfiora il -20% rispetto al pari periodo 2019. Risultato dell’incrocio di questi dati, l’Italia si è ritrovata a perdere meno in Cina (-13,3%) e guadagnare di più negli Usa (+16,8%).

Giovanni Mantovani
direttore generale
Veronafiere

Due fattori esogeni come i dazi e la pandemia hanno prima favorito e poi penalizzato la crescita delle nostre esportazioni di vino. Basti pensare come negli Stati Uniti si sia passati da un incremento record a valore del +40% del primo bimestre a una contrazione del -17,4% a marzo.
Nei prossimi mesi, l’impatto della pandemia sui mercati internazionali sarà ancora più evidente, ma auspichiamo che questo autunno l’Italia possa essere la prima a ripartire proprio in Cina, laddove è iniziato con effetto domino il lockdown sull’on-trade del vino.
Le vendite di vini fermi italiani nell’off-trade (gdo e liquor store) statunitense hanno raggiunto i 94 milioni di litri, che rappresentano solo il 40% delle importazioni totali della tipologia. Ora il quesito si pone su che fine farà l’altro 60% di vino fermo italiano e soprattutto se l’on-trade sarà in grado di ripartire con i ritmi precedenti.