Ritorna dal passato una tecnica messa a punto nell’antica Roma che si candida alla produzione green di vini: è il cocciopesto, un materiale derivante dall’impasto crudo composto da frammenti laterizi macinati (coccio), sabbia, legante cementizio e acqua di sorgente non clorata. A rilanciare l’idea, che è  subito stata brevettata, è  un’azienda nata undici mesi fa, Drunk Turtle, a Ponsacco nel pisano, in Toscana.

Duccio Brini, proprietario di una tenuta vinicola di 22 ettari a Montepulciano, il Conventino, che la sta sperimentando sul Merlot, sottolinea che si tratta di una tecnica antispreco anche in termini energetici visto che non è prevista cottura ma solo una asciugatura naturale; non ci sono gabbie di ferro; nessun albero viene abbattuto né legno arso. I vasi vinari in cocciopesto rappresentano una innovazione per il mondo dell’enologia grazie a tre innovazioni tecniche: la forma, internamente ovoidale che facilita la condensazione dei gas della fermentazione; le ampie dimensioni; il cocciopesto, totalmente naturale e traspirante per consentire una microssigenazione più lenta, particolarmente adatta ai vini bianchi, e il controllo della temperatura. Alcune prove svolte in Canton Ticino e in Toscana hanno già dato vita a risultati interessanti con vini che risultano diversi, sia da un punto di vista chimico, sia da un punto di vista organolettico.