Contro le bollicine italiane, anche il riscaldamento globale: oggi gli ‘sparking’ si fanno in UK

I numeri dell’export forniti dall’Istat sui primi 7 mesi del 2019 ed elaborati dall’Osservatorio Vinitaly-Nomisma Wine Monitor relativi alla domanda extra-Ue del vino italiano, uniti a quelli rilevati dalle dogane, rivelano una crescita dell’attività di spedizione nell’ordine del +3,3%. Un trend che potrebbe portare il comparto del vino italiano a fine anno a sfondare il tetto dei 6 miliardi di euro della bilancia commerciale.
Ma i numeri non nascondono anche delle ombre: il prezzo medio del vino esportato registra un calo importante del -5,1% sull’intero mercato rispetto allo stesso periodo di riferimento del 2018, dovuto anche al forte ribasso dei prezzi dello sfuso e, specialmente sulle piazze del vicinato raggruppate nell’area UE dove subisce un ribasso del – 7,9%. Anche il Regno Unito registra un -3,6% sul prezzo d’acquisto di un mercato particolarmente concentrato sugli sparkling.
Qui probabilmente si riflette il condizionamento del crescente volume della viticultura inglese in aumento grazie al cambiamento climatico che amplia verso nord le zone di coltivazione della vite e particolarmente favorevole alla spumantizzazione. Di contro le vendite nei paesi terzi Canada, Corea del Sud e Giappone, caratterizzati da accordi commerciali regolati sul libero scambio fanno registrare una performance in lieve crescita.

Giovanni Mantovani
Dg Veronafiere

Il saldo commerciale del vino è quello che presenta la maggior incidenza positiva rispetto a tutti i comparti del Made in Italy. Un record che va salvaguardato puntando ancora di più sui mercati esteri emergenti e sulla crescita della fascia premium. Per questo, fatta salva l’indiscutibile qualità del prodotto, le tensioni al ribasso che riscontriamo su più livelli rappresentano un campanello di allarme che saremo in grado di silenziare solo attraverso la crescita delle dinamiche di business.