Autorizzate dall’Unione Europea le pratiche enologiche consentite dall’OIV, l’Organismo Internazionale della Vite e del Vino. Riguardano alcuni interventi ritenuti necessari per una corretta gestione del prodotto vino: la dealcolizzazione parziale del vino (prima autorizzata fino a 2 gradi alcolici oggi estesa al 20 per cento dell’alcool in volume); l’acidificazione mediante trattamento con scambiatori di cationi; la riduzione del tenore di zucchero nei mosti mediante accoppiamento tra membrane; e la disacidificazione mediante trattamento elettromembranario.
Sono tutti processi che vanno nella direzione di modificare in cantina quello che le caratteristiche della vendemmia hanno apportato alle uve, a volte a causa delle fluttuazioni climatiche. Il principio operativo di questi sistemi si basa in parte sulla capacità di alcune membrane particolari di essere selettive per classi di molecole ed in parte per la carica elettrostatica che caratterizza gli anioni ed i cationi presenti nel vino, che possono essere “catturati” attraverso opportune piastre caricate elettricamente. Il vantaggio di questi sistemi è la loro rapidità e efficacia anche su grandi volumi che consente ad aziende tecnicamente dotate di fare coacervi di molti prodotti diversi e portarli poi al livello di acidità e grado alcolico richiesto dal mercato.
È evidente che ammettere queste pratiche porta con sé problemi assai consistenti per i produttori che puntano alla qualità: con queste tecniche infatti viene a rompersi il rapporto tra quello che succede in vigna e quello che succede in cantina e si apre la strada ad un utilizzo per fini fraudolenti, che l’obbligo di scrivere le tecniche adottate sui propri registri non offre una sufficiente garanzia ai consumatori.