L’aggressività sui mercati è una caratteristica dei produttori che hanno meno tradizione alle spalle. Ed ecco allora l’innovazione introdotta dai produttori di vino australiani: il gruppo Treasury Wine Estates, un colosso del settore vitivinicolo proprietario di 13 mila ettari di vigne in tutto il mondo con oltre 400 milioni di bottiglie prodotte, ha portato la realtà aumentata sulle etichette del vino.
Sulle bottiglie di cabernet sauvignon, di chardonnay o di shiraz della serie “19 Crimes”, campeggia un’etichetta gialla con l’immagine in tonalità seppia di giovani uomini in tenuta da carcerati. Questi uomini si chiamano John Boyle O’Reilly, Michael Harrington, Cornelius Dwyer Kane e sono tutti stati condannati all’esilio in Australia. La grafica è molto originale e ben riuscita. Ma la sorpresa comincia dopo che l’acquirente ha scaricato la app dedicata Living Wine Labels: basta dirigere l’obiettivo della fotocamera dello smartphone verso l’etichetta per vedere i detenuti animarsi sullo schermo e raccontare ciascuno la propria storia.

La campagna promozionale ha fatto quadruplicare le vendite di vino australiano in Europa

Per presentare “19 Crimes” negli Stati Uniti, Treasury Wine Estates ha affittato in esclusiva nientemeno che il famoso penitenziario di Alcatraz. L’impatto commerciale ottenuto a quanto pare è stato enorme.
«In diciotto mesi – spiega Gregory Joos de ter Beerst, che cura la distribuzione in Europa di Treasury Wine – le vendite di “19 Crimes” sono passate da 4 milioni a 18 milioni di bottiglie. L’applicazione piace tantissimo. Scommettiamo su un miliardo di download nel 2020». La qualità del vino non cambia, ma il valore pubblicitario di legare ad internet il nome del proprio vino sembra aver convinto i consumatori più giovani.