«La sola omonimia non è ritenuta un motivo sufficiente per respingere una domanda» come dice Janusz Wojciechowski, commissario europeo per l’Agricoltura, oppure ha ragione la Corte di Giustizia Europea quando afferma che il criterio determinante per accertare la presenza di una evocazione illegittima è quello di accertare se il consumatore, in presenza di una denominazione controversa, sia indotto ad avere direttamente in mente, come immagine di riferimento, proprio la merce protetta dalla Dop? La ‘guerra’ del Prosecco è tutta qui.


Diciamocelo: è come se l’esercito lussemburghese dichiarasse guerra all’intera Unione Europea. Le proporzioni sono le stesse: il Prošek è infinitesimale contro le 800 milioni di bottiglie di Prosecco pronte ad invadere il mondo. Ed è come se a combattere contro i missili ci si lanciasse con delle asce in pietra: sempre Tomahawk si chiamano, ma una certa differenza c’è!
Il Prošek croato è un vecchio e tradizionale vino da dessert, ottenuto da uve appassite: un vino molto dolce, prodotto solo da varietà autoctone croate, vinificate secondo le specifiche dei viticoltori dalmati. La produzione totale di Prosek è simbolica, poche migliaia di bottiglie all’anno, prodotte da pochi produttori familiari. E di solito la bottiglia del Prosek è inferiore al mezzo litro: non dovrebbe certo destare alcun timore in quella che il presidente della Regione Veneto, Luca Zaia, definisce “la più grande denominazione del mondo”.

Ma resta la questione di principio!
Il Ministro Stefano Patuanelli garantisce che «utilizzerà ogni argomentazione utile per respingere la domanda di registrazione del Prošek». Gli eurodeputati leghisti veneti sono in prima fila: da Mara Bizzotto (“Siamo pronti alle barricate”) a Gianantonio Da Re (“Impedire che venga legalizzata la concorrenza sleale”) fino a Rosanna Conte (“Non ne va solo del Prosecco, ma del nostro patrimonio alimentare, economico e culturale”). Senza esasperazioni, il presidente del Consorzio di Tutela del Prosecco Doc, Stefano Zanette, ricorda che: «Il via libera dell’Ue contraddice in maniera clamorosa la recente sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea che ha dichiarato illegittimi proprio i nomi truffa» ed ancor più acuto è il presidente di Assoenologi, Riccardo Cotarella: «Quando si fa un vino, quello che conta è il territorio, il terreno, prima ed essenzialmente le persone».

Insomma non è questione di un nome, ma di qualità; non di assonanza, ma di immagine di un prodotto che nel mondo ha saputo qualificarsi ed affermarsi anche in termini di comunicazione; non è nemmeno una guerra quella da combattere, ma si tratta di affermare un caposaldo che dia equilibrio ai rapporti economici-commerciali che sono ormai predominanti anche rispetto a usi e consumi più o meno tradizionali. Perché questo è nell’interesse: di tutti.