Prima di essere accusati di autolesionismo di tafazziana memoria, non stiamo parlando solo dell’Italia anche se gli esempio ai quali facciamo riferimento sono quelli di casa nostra. Ma non dimentichiamoci che anche il resto del nostro continente vive le stesse contraddizioni.
Fatta questa premessa, partiamo da Bebe Vio, la campionessa paraolimpica che è entrata nelle nostre case attraverso una pubblicità della Barilla. Uno spot che fa il paio con quello del grano italiano curato con grande amore: solo che il claim affidato alla Vio è quello del ‘grano della migliore qualità’. E la Barilla dichiara quindi esplicitamente che al grano italiano, in quantità non specificata, viene miscelata materia prima proveniente da Australia, Francia e Stati Uniti.
L’unica motivazione che può spiegare perché Barilla importi grano duro dall’estero, pagandolo anche il 20% in più, è nella migliore qualità di un prodotto che è più adatto alla pastificazione. Un messaggio che sembra non turbare i consumatori che continuano ad acquistare la pasta italiana perché fatta dai migliori pastai del mondo (la qualità del lavoro italiano non è mai in discussione).
Implicito appare quindi il ‘combinato disposto’ (direbbero i burocrati) dei due spot: ci vorrebbe ancora più amore perché la produzione di grano duro in Italia arrivi alla qualità (e diciamo, anche alla quantità, oggi insufficiente) della materia prima necessaria alla grande industria esportatrice di pasta in tutto il mondo.
Qualità, quindi, sempre la qualità al primo posto. Ma l’Europa che cosa fa? Proroga per altri cinque anni l’uso del glifosato nei nostri campi: la metà degli scienziati dice che fa male, l’altra metà dice che non è stato ancora dimostrato. Chi vince? La lobby Monsanto che il glifosato lo vende in tutto il mondo e che anche in Europa lo farà per i prossimi cinque anni!