Si chiamano ‘private label’: sono le etichette dei prodotti alimentari che riportano il marchio del supermercato nel quale li acquistiamo. Ne abbiamo parlato altre volte in queste pagine per una preoccupazione diffusa tra i consumatori: dove è stato prodotto quello che sto comprando? È nato, infatti, da questa domanda l’obbligo di indicare in etichetta l’indirizzo dello stabilimento di produzione o trasformazione degli alimenti che non corrisponde, ovviamente, a quello della catena commerciale.
Oggi ne parliamo per un motivo diverso, emerso nel corso della sesta Conferenza Internazionale su “National Brand & Private Label Marketing Research”, tenutasi recentemente a Barcellona. È l’appuntamento al quale sono chiamati i maggiori esperti delle nuove strategie di marketing nel settore alimentare. Non a caso l’incontro si è svolto in Spagna: è il paese UE che presenta la seconda maggiore spesa per prodotti ‘private label’, dopo il Regno Unito. La novità dell’incontro di Barcellona è nella vertiginosa crescita dei prodotti commercializzati con un’etichetta biologica, +14% in un anno. Quattro nuclei familiari spagnoli su dieci acquistano già questo tipo di alimenti.
E, visto che soprattutto nel commercio due più due fa quattro, le grandi catene di supermercati hanno annunciato la creazione, o l’intenzione di creare, delle etichette biologiche di loro proprietà. Ecco allora Carrefour con Carrefour Bio; Lidl con Luipilu e Bio Organic; e Aldi con Gutbio. Ora: se uno dei freni alla diffusione del bio è legato alla certificazione dei prodotti, la discesa in campo dei grandi marchi potrebbe contribuire ad innalzare la fiducia dei consumatori, già fidelizzati al supermercato scelto. E per il bio, poter contare su controlli di filiera garantiti dalla Grande distribuzione organizzata, potrebbe essere il trampolino per un ulteriore balzo percentuale in avanti.