Può anche capitare che una settimana della moda si svolga senza modelle che sfilano: è quanto accaduto a Lugano con la prima “Fashion Innovation Week”. La città svizzera non è certo classificata tra le regine della moda al pari di Parigi, Milano, Londra o Firenze, eppure a tutte queste ha lanciato un messaggio ben chiaro che suona più o meno così: “voi potete anche puntare sul design, ma se volete sopravvivere dovete passare da qui”.
Perché Lugano ha inteso proporsi come la (possibile) capitale del commercio elettronico della moda, dell’intelligenza artificiale applicata al fashion, della realtà aumentata e dell’innovazione applicate all’abbigliamento. E gli organizzatori svizzeri hanno preferito mettere in mostra ‘modelli’ di business e ipotesi innovative di moda pronta.
In questo nuovo sistema c’è anche un processo di ‘democratizzazione’ della moda: la ricerca dei potenziali clienti avviene dove il numero è maggiore, cioè su internet. Con la conseguenza che ad ogni acquisto corrisponde una raccolta di dati sui gusti dei consumatori. Una sempre più raffinata analisi di questi dati (il cui numero è paurosamente in aumento) di fatto indica la strada ai designer per programmare quel che si venderà domani. A Lugano si è parlato di “data-driven design”, specie nel settore del fast-fashion, cioè di quei marchi che rinnovano velocemente l’assortimento, con modelli che seguono i canoni in voga e non costano molto.
Alla fin fine resta sempre la necessità che qualcuno disegni il capo da porre in vendita e ci metta anche quella sensibilità interpretativa ed emozionale che solo l’animo umano sa esprimere. Qui, a dispetto di ogni innovazione e della potenza del web, resterà quella traccia profonda che ‘fa la qualità’ del prodotto e dà senso alla moda.