«L’Italia non può tollerare che nell’Unione Europea del rigore nei conti si permetta che almeno venti milioni di bottiglie di pseudo vino siano ottenuti da polveri miracolose contenute in wine-kit che promettono in pochi giorni di ottenere le etichette più prestigiose». Come non condividere le parole del presidente della Coldiretti, Roberto Moncalvo. Intollerabile è soprattutto che a distanza di appena un anno dalla denuncia della vendita di wine kit per produrre falso vino a danno dei vini italiani più prestigiosi quel che è stato cacciato dalla porta sia già rientrato dalla finestra.
Era intervenuta l’Interpol per fermare il commercio in Europa, ma a quanto pare si può dire che la partita è fin qui vinta dai furbetti del “vino in polvere”. Questi si sono attrezzati per sfuggire alle leggi ed hanno usato un’arma ben poco ‘inglese’, anzi si direbbe tutta ‘italiana’: la fantasia! Così il Barolo è diventato Barollo, il Brunello di Montalcino ora si chiama Montecino, il Valpolicella è divenuto Vinoncella, mentre il nuovo nome del Chianti è Cantia che suona molto simile con la pronuncia inglese. E i wine kit che dichiarano di ottenere in soli 5 giorni, in casa, Lambrusco, Gewurztraminer, Frascati, Sangiovese o Primitivo, sono stati venduti addirittura con i marchi ‘Cantina’ e ‘Doc’s’. Meno fantasiosi in Canada dove Verdicchio, Chianti, Barolo, Amarone, Valpolicella vengono venduti senza problemi grazie all’apposizione dell’aggettivo “style”.
Per l’Europa l’unica soluzione sarebbe vietare totalmente la vendita dei wine kit. Per il consumatore, e per i produttori, l’unica speranza è nella promozione di una cultura profonda del cibo e del vino che porti a distinguere i prodotti di qualità da quelli farlocchi. Un percorso lungo, difficile.

Mario Ongaro