È allarme nel mondo del vino italiano. Dall’8 ottobre, infatti, prende avvio un mese di consultazione da parte dell’Organizzazione Mondiale della Sanità sulla “Global strategy on alcholics” per combattere quello che da almeno un decennio viene unanimemente riconosciuto come uno dei problemi sanitari e sociali più rilevanti, l’alcolismo. L’OMS, nel 2010, ha stimato che le persone affette da alcolismo nel mondo erano circa 208 milioni, il 4,1% della popolazione mondiale oltre i 15 anni, e che il numero era in costante rapida crescita. Per cui, la strategia Oms raccomanda una generale riduzione dei consumi di alcol a livello mondiale del 20% circa entro il 2030.

Si aggiunga che entro la fine di quest’anno è prevista, da parte della Commissione Ue, la presentazione del piano d’azione “European beating cancer plan” che tra le sostanze carcinogene include ovviamente anche l’alcol. Entrambi i documenti potrebbero portare a indicazioni per una limitazione del consumo che colpirebbe anche il vino, ad esempio con messaggi di allerta sulle bottiglie. La difesa dei produttori si richiama sempre al proprio impegno nella promozione di un uso “moderato” che per gli italiani resta quello della tradizionale ‘dieta mediterranea’.

In realtà, i dati scientifici sono di per sé più restrittivi rispetto agli usi “dei nostri vecchi”. L’industria della birra ha anticipato i tempi ed i grandi colossi multinazionali hanno già tutti nel loro menù prodotti “zero alcol” quasi indistinguibili per sapore da quelli alcolici. Al contrario la produzione di vino, in parte anche a causa dei cambiamenti climatici, è orientata alla produzione di vini di grado sempre maggiore: un “consumo moderato” nella misura auspicata dalla scienza e una qualche forma di comunicazione sulle bottiglie dei rischi legati all’alcol sono per i produttori italiani fonte d’insonnia.

Anche perché ci sono in ballo un bel po’ di soldini: quelli per la promozione del vino all’estero. Oltre 100 milioni che dal 2009 la Ue ha dato all’Italia per promuovere il consumo di vino nei Paesi terzi attraverso iniziative che hanno trainato l’export di vino Made in Italy oltre la soglia attuale del 6,5 miliardi annui. Come potrebbe domani l’Unione continuare a ‘sostenere’ un settore che sta così bene e un prodotto che rischia di essere incluso tra quelli dannosi per la salute?