Doveva essere il segnale di una grande battaglia vinta dall’Italia per la tutela dei consumatori e per la difesa del prodotto italiano. Il Ministro Maurizio Martina si era speso molto per garantire che il latte italiano avrebbe trovato ‘protezione’ contro l’invadenza delle importazioni crescenti dalla Germania e dall’Olanda. Imporre all’Europa di accogliere la sperimentazione dell’obbligo di indicare sulla confezione l’origine del prodotto era stato considerato un passo importante ed innovativo a difesa delle nostre stalle, dei nostri allevatori e del prezzo loro riconosciuto per il latte prodotto.

Tutto invece sembra destinato a risolversi in un ‘giallo’ con i consumatori chiamati a vestire i panni degli investigatori: chi scoprirà da dove arrivi davvero il latte che acquistiamo? Perché certamente da qualche parte sulla confezione ci sarà la scritta su dove il latte sia stato munto, ma potrà essere piccola, nascosta tra altre informazioni, in quegli angoli che il consumatore solitamente nemmeno guarda. In bella vista invece ci sarà la bandierina tricolore a testimoniare che l’ultima fase della trasformazione è avvenuta in Italia.

L’inghippo è che non c’è legge nazionale che possa abrogare la norma comunitaria che scrive testualmente: “Le merci alla cui produzione contribuiscono due o più Paesi o territori sono considerate originarie del Paese o territorio in cui hanno subito l’ultima trasformazione o lavorazione sostanziale ed economicamente giustificata”. Il Made in Italy è quindi un diritto per l’industria della trasformazione, mentre l’indicazione dell’origine è un ‘favore’ fatto ai consumatori più attenti (e riteniamo dalla vista più acuta).

Diciamoci la verità: fin qui di circolari ministeriali ce ne sono state già due a febbraio, una del Mise ed una del Miaaf. Non è detto che da qui alla metà di aprile non ne arrivi una terza che chiarisca le precedenti e che la ‘vittoria italiana’ rimanga tale.