Colpisce la notizia di questi giorni: l’arresto del massimo dirigente di un ministero importante come quello delle infrastrutture con l’accusa di corruzione costringe tutti noi a riflessioni amare. Quella più coerente con queste nostre pagine è che la corruzione è la forma più odiosa di contraffazione. Perché le gare e i bandi per le grandi opere di questi ultimi anni hanno, a quanto pare, avuto un qualcosa di falso che ha alterato la leale concorrenza tra le aziende, qualcosa che ha alterato il mercato.

Si potrebbe dire che è come quando il consumatore sceglie di comprare una borsa che è la copia contraffatta di un prodotto di alta qualità dell’ingegno e della creatività di uno dei maestri del gusto italiano. Anche quella contraffazione altera il mercato, punisce gli operatori corretti, sottrae lavoro e reddito al nostro Paese. Solo che in questo caso la corruzione pare aver inciso su oltre 25 miliardi di grandi opere: una distorsione del mercato enorme non solo sotto il profilo economico, ma anche sotto quello etico e civile. Perché ancor più si diffonderà nella nostra società la convinzione che senza un po’ di illegalità non è possibile andare da nessuna parte: “tutti rubano!”

La prima Tangentopoli vide qualche faccendiere e tanti politici coinvolti, tanto da far saltare una intera generazione all’interno dei partiti. Anche nel recente scandalo Mose erano coinvolti degli amministratori eletti con il voto popolare, ma, come abbiamo a suo tempo sottolineato, di mezzo c’erano funzionari pubblici, vertici della Finanza, imprenditori protagonisti di un meccanismo perverso. Analogo a quello che questo nuovo caso sta portando alla luce e testimonianza di una preoccupante decadenza che non è della sola e tanto vituperata ‘politica’, ma che ha intaccato anche quei ruoli ‘tecnici’ da sempre invocati come antidoto alla corruzione.