Il lockdown per i negozi potrebbe terminare il 18 maggio: è la notizia più attesa dalla filiera della moda, dopo due mesi di chiusura forzata dei canali di vendita, con i magazzini ricolmi di capi per un’intera stagione mai iniziata ed ormai verso la sua conclusione. Le stime però sono tutt’altro che favorevoli e i dubbi su quanti saranno in grado di alzare le serrande alla fine di questo lockdown prolungato sono sempre più forti. I negozi nei centri urbani rischiano di pagare un prezzo altissimo e tra le organizzazioni di categoria si parla di oltre 17 mila punta vendita della Penisola che sono sull’orlo della chiusura, con una perdita occupazionale di 35mila persone e 15 miliardi di euro di fatturato in fumo.
Ma l’emergenza ha innescato la crisi anche per i grandi marchi della moda: H&M ha già annunciato la chiusura di 8 punti vendita; Geox potrebbe sacrificare 55 negozi in Europa; il gruppo Yamamay-Carpisa, che ha 200 punti vendita a gestione diretta, rischia di non poter riaprire una vetrina su due.
E la contrazione delle grandi catene distributive, giusto ricordarlo, ha un impatto sull’occupazione molto più elevato rispetto a quanto si stima per i negozi più piccoli.
Questi ultimi sono oltretutto inermi spettatori della lite scoppiata tra Confindustria Moda e Federazione Moda Italia-Confcommercio: le due strutture associative, che insieme aggregano l’intera filiera della moda italiana delle aziende a monte agli esercizi commerciali, sono arrivate allo scontro sulla questione, per nulla secondaria, del diritto di reso. Si tratta di risolvere il problema generato dai quantitativi di merce acquistata dai dettaglianti otto mesi fa e rimasta invenduta, ancora imballata nei magazzini.
Federmoda chiede agli industriali “un’assunzione di responsabilità per condividere con il retail il rischio derivante dalla perdita di un’intera stagione”. Ma Confindustria Moda replica di non poter concludere accordi su ambiti che riguardano le scelte di ciascuna impresa associata. È indiscutibile che in questa ‘fase 2’ molto è nella mani del Governo: sia l’industria, sia il commercio hanno bisogno di un sostegno che non può essere solo ‘morale’. La moda Made in Italy è fondamentale per l’immagine del nostro Paese nel mondo, ma anche la rete distributiva che illumina le strade delle nostre città è altrettanto fondamentale per rilanciare la socialità dopo la pandemia.