La notizia l’ha lanciata il Financial Times ed è stata ripresa da numerose testate italiane: c’è in Brasile una azienda che è arrivata ad avere il 40 per cento del mercato dei vini di qualità e il 15 per cento del mercato dello spumante. Produce 12 milioni di litri di vino da 1.150 ettari di vigneti in tutto il Brasile, compresi quelli nel clima tropicale della Vale do São Francisco, a Bahia. Un’area particolarissima che arriva a produrre tre vendemmie ogni due anni. Esporta in 20 paesi e il fatturato è cresciuto da un milione di real nel 2000 a 100 milioni.
Il nome di quest’azienda non lascia dubbi, come spesso accade in quell’immenso Paese: Miolo, cioè italiani, anzi veneti. Alla fine dell’Ottocento, Giuseppe Miolo partite da Piombino Dese ed arriva in Brasile dove investe tutti i suoi averi in una striscia di terra a Bento Gonçalves. Passa un secolo e negli anni ’70 del novecento i nipoti puntano sui vigneti: la Miolo Wine Group è oggi la prima produttrice di vino in un Paese nel quale il consumo medio pro capite è di appena due litri l’anno (in Italia la media è 40). Ma per l’anno prossimo contano di organizzare la Coppa del mondo del vino, con una serie di degustazioni e la finale a ridosso della Coppa calcistica.
Quel che è certo è che il Veneto mostra, anche attraverso questa storia di emigrazione, le grandi doti imprenditoriali che sono nel DNA di questa terra. E di questa abbiamo grande bisogno oggi, per uscire da una crisi che rischia di condurci dalla stagnazione alla depressione. La risposta non può che essere nel valorizzare queste doti venete. O forse basterebbe anche solo non ostacolarle, lasciarle libere di svilupparsi. Con un po’ di burocrazia in meno, la ripresa sarebbe più vicina.