Lo spazio che solitamente dedichiamo ai nostri commenti, vogliamo questa volta dedicarlo ad una sentenza della Corte di Giustizia della Ue dello scorso 4 giugno. Non entreremo nei dettagli del caso specifico all’esame della Corte, ma vogliamo sottolineare il principio che ha ispirato i giudici. L’etichettatura non deve indurre il consumatore in errore suggerendo la presenza di un ingrediente che poi, correttamente, non compare nell’elenco degli ingredienti.

I giudici di Lussemburgo hanno sottolineato che il diritto dell’Unione impone che all’acquirente venga garantita un’informazione che sia “corretta, imparziale e obiettiva”. Per quanto sia possibile appellarsi al fatto che il consumatore è tenuto a leggere l’elenco degli ingredienti, comunque l’etichettatura dei prodotti non può riportare elementi “mendaci, errati, ambigui, contraddittori o incomprensibili” che induca in errore l’acquirente al momento dell’acquisto. Pertanto: “quando l’etichettatura di un prodotto alimentare suggerisce la presenza di un ingrediente che in realtà è assente (assenza che emerge unicamente dall’elenco degli ingredienti), detta etichettatura è tale da indurre in errore l’acquirente sulle caratteristiche del prodotto”. Concretamente insomma, tutti gli elementi che compaiono sulla confezione “i termini e le immagini utilizzati nonché la collocazione, la dimensione, il colore, il carattere tipografico, la lingua, la sintassi e la punteggiatura dei diversi elementi riportati sulla confezione” dovranno d’ora in poi essere veritieri.

Ci sembrava doveroso sottolineare questa sentenza perché rafforza e da concretezza al principio scritto dal legislatore circa la priorità della tutela del consumatore, specie nell’ambito alimentare, e di converso dell’obbligo in questo senso contratto dall’industria agroalimentare.