Made in Italy nel 2018: 3,4 miliardi di euro di export agroalimentare; quasi 827 milioni di vino; 234 milioni di ortofrutta fresca e trasformata; e poi pasta, formaggi, olio extravergine d’oliva. Sono i numeri di quanto è pesato lo scorso anno l’export tricolore in Gran Bretagna. Lo spettro della Brexit che si fa sempre più vicino e che, dopo la caduta del Governo conservatore, potrebbe concretamente avvenire senza alcun accordo è una spada di Damocle per il “Sistema Italia”.
In realtà, fin qui l’effetto è stato, paradossalmente, benefico: la paura degli importatori di ritrovarsi domani senza scorte e di doversi approvvigionare a prezzi gonfiati dai dazi, ha spinto ad una sostanziosa rincorsa agli acquisti nei primi mesi di quest’anno almeno per quei prodotti che possono essere a più lunga conservazione. Dal Grana Padano al Parmigiano Reggiano (+17%) dalle conserve di pomodoro (+35%) all’olio di oliva (+9%), dall’ortofrutta fresca (+4%) alla pasta (+9%) fino a al Prosecco (+18%).
Ma almeno due fattori devono comunque spaventare. Innanzitutto la burocrazia: è evidente che il ritorno di un confine oltre la Manica vogliono dire documenti, scartoffie, controlli e quindi ritardi e lentezze. Per l’agroalimentare italiano, magari di aziende nemmeno tanto grandi, una calamità pari alle cavallette.
Ma se questo andrà a discapito anche dei britannici, il secondo fattore ricadrà tutto sulle spalle italiane perché fa riferimento a quella tutela giuridica dei prodotti a indicazione geografica e di qualità (Dop/Igp) che l’Europa garantiva alle tipicità italiane. I nostri prodotti rischiano di subire la concorrenza sleale di realtà extracomunitarie e una volta caduta la protezione europea ai nostri marchi più famosi il mercato britannico diventerà ‘terra di nessuno’ per il prosecco come per il prosciutto, per il parmigiano come per la pasta.