Il dato è impressionante: nel 2018 oltre tredicimila veneti (fa ancor più impressione scrivere la cifra esatta: 13.329) se ne sono andati all’estero. Il numero è fornito dalla “Fondazione Migrantes”, e nei loro Paesi di destinazione sono stati accolti appunto come ‘migranti economici’. Esattamente come quelli che dall’Africa arrivano con i barconi sulle coste italiane oppure come quelli che comunque varcano la nostra frontiera dall’Ucraina, dalla Cina, dal Bangladesh: a livello nazionale, lo scorso anno, sono stati quasi 130.000 quelli che se ne sono andati, come si diceva una volta “con la valigia di cartone”, a cercar lavoro all’estero. Come se lavoro qui non ce ne fosse. A parlar con gli imprenditori, soprattutto quelli del nordest, il ritornello anzi quello che non riescono a trovare operai e dipendenti da inserire in organico ed è proprio questo che ci deve far riflettere.

La filiera agroalimentare, ad esempio, avrà bisogno nell’immediato futuro di 280mila unità lavorative per far fronte alle richieste delle aziende. Ad affermarlo è il presidente dell’ Associazione italiana di tecnologie alimentare (Aita), professor Sebastiano Porretta. Che poi si spiega: si cercano figure per lo più specializzate e formate per aziende che hanno fortemente investito nell’innovazione e con Industria 4.0 in attrezzature molto avanzate.

Un quantitativo ancor più elevato, si parla di circa 480mila addetti, potrebbe trovar lavoro nel mondo della moda entro i prossimi cinque anni, con l’immediata preoccupazione per quanto potrebbe accadere presto visto l’elevato numero di quanti, ad alto livello di qualificazione acquisita sul campo, sono ormai prossimi alla pensione (e ‘quota 100’ è uno spettro assai minaccioso per la moda Made in Italy). Anche qui ai giovani è richiesta una adeguata formazione: proprio in questi ultimi gioni abbiamo scritti del corsi di Polimoda e del Politecnico Calzaturiero, ma sono decine le scuole e accademie che i giovani possono frequentare per prepararsi al loro futuro.

Certamente un corno del problema che spinge i nostri giovani a cercar fortuna all’estero è quello strettamente economico visto un emblematico dato che ci viene dalle analisi di Eurostat: un neolauretato alla prima assunzione in Italia avrà una retribuzione netta attorno ai 1.700 euro, ma se riesce a farsi assumere nella vicina Francia si ritroverà il tasca 3.200 euro! Per non parlare di chi riesce ad approdare oltre Atlantico. Ovvio diventare in questo senso “migranti economici”.

Ma l’altro corno del problema è nella richiesta di una qualificazione che il sistema formativo nazionale fatica a garantire. Personalmente sono favorevole alla reintroduzione dell’educazione civica nei programmi scolastici, ma se poi non mastichi l’inglese (e talvolta anche l’italiano) e davanti ad una macchina a controllo numerico ti par di stare in una astronave aliena…. Il gap tra formazione e mondo del lavoro è una palla al piede che l’Italia tutta si trascina da decenni e che non può essere colmato con estemporanee iniziative a macchia di leopardo.