Negli Emirati Arabi il vino è prima di tutto un problema, ma anche sotto questo profilo la città di Dubai rappresenta una eccezione:

  • meno del 15% della popolazione è locale,
  • la comunità indiana da sola supera il 50%,
  • i turisti nel 2016 hanno superato i 15 milioni.

Le rotte di Emirates, con i suoi 3 mila i collegamenti settimanali ed oltre, fanno di Dubai sempre più il punto di raccordo tra Occidente, Asia e Africa.
«Al di fuori delle strutture turistiche – spiega Jean-Philippe Le Rouzic, wine sales manager dell’African Eastern – per comprare alcol, ma anche solo per trasportarlo, occorre una licenza ad hoc e avere almeno 21 anni. I ricarichi sono così alti perché la tassazione è tra le più elevate al mondo: 50% sul valore, più tassa municipale al 10% e altra tassa finale del 30% sul prezzo finito. Ma di certo, non frenano i consumi, anzi sono in fase di boom».

Senza importazioni, la bilancia dei pagamenti è positiva per oltre 300 milioni

L’African Eastern è il colosso che insieme alla MMI (Maritime and Mercantile International) detiene il controllo dell’importazione e della distribuzione del vino in quest’area. Solo due players per tutto il mercato. Nonostante le restrizioni, il vino italiano ha realizzato esportazioni per 8 milioni di euro e un incremento del +3,7% in un anno. In calo i liquori (-4,7% a 3,5 milioni di euro), si registra una grande progressione degli spumanti: +20% e un valore di 3,3 milioni di euro. Bene anche la birra, con un export pari a 2,8 milioni di euro.
Considerando tutto il settore agroalimentare, i rapporti tra Italia ed Emirati Arabi sono molto solidi. Nel 2016, l’export italiano è stato di 317,1 milioni di euro, con una riduzione del -2,1% rispetto al record raggiunto nel 2015 (324 milioni di euro). Con appena 2 milioni di euro di import (+10,3%), il surplus commerciale nel 2016 è stato di 315,1 milioni di euro.