Pur escludendo i vini, oggi le Igp italiane sono 295 e quelle Ue 1427: un patrimonio di Dop e Igp, che negli ultimi venti anni si è espanso a dismisura portando il settore a circa 15 miliardi di euro di valore. Un vero tesoro per l’Italia che deve essere difeso da un sistema di contraffazione esteso e ramificato e contro il quale non bastano più le multe seppur salate.
È a partire da quest’ultima constatazione che l’associazione italiana Consorzi indicazioni geografiche (AiCig), riunita a Reggio Emilia, ha chiesto di passare dalle sanzioni pecuniarie ad azioni che cancellino i «comportamenti fraudolenti», di fatto cioè proponendo la chiusura di quelle realtà che spacciano come tipico il prodotto che non ha nulla della qualità italiana. Non è solo una questione economica, si sottolinea in una nota del’ AiCig: “l’agroalimentare di qualità ha scelto di puntare ed investire sul territorio: ciò non si è rivelato un limite bensì una grande opportunità che ha appunto premiato il settore, soprattutto dall’estero». Atteggiamento quindi economicamente vincente, ma anche socialmente utile.

I produttori chiedono strumenti normativi e operativi che vadano anche oltre le attuali multe

Il sistema delle indicazioni geografiche sta già sperimentando da tempo un insieme di strumenti che al servizio della certificazione e della tracciabilità, oltre che certezza dell’origine e dei metodi di trasformazione.
Occorre lavorare – scrive AiCig – a negoziati che puntino al riconoscimento delle indicazioni geografiche come valore globale dello sviluppo agricolo. Norme in grado di eliminare le pratiche ingannevoli per il consumatore, in particolare l’utilizzo di denominazioni geografiche, immagini e marchi che evochino l’Italia per pubblicizzare prodotti affatto riconducibili al nostro Paese, la forma più sfacciata di concorrenza sleale e truffa nei confronti dei consumatori nel settore agroalimentare”.