Rispetto al totale della produzione mondiale di grassi, l’olio di oliva rappresenta appena il 2% contro il 31% dell’olio di Palma, il 29% di quello di Soja, il 15% di Colza e l’8% di Girasole. Sono i numeri che spiegano la fragilità di un comparto, quello dell’olio di oliva, che tenta di liberarsi dall’omologazione dei sapori e di differenziarsi sul mercato con la sua identità intesa come legame con il territorio. Per tutelare l’olio extra vergine di oliva ora un gruppo di ricercatori coordinati dal prof. Maurizio Servili, Luciano Cruciani dell’università di Perugia e Luciana Baldoni del Cnr hanno testato nuovi metodi di analisi per distinguere l’origine e le diverse varietà (cultivar), presenti negli oli extra vergine di oliva.
Il progetto, finanziato da Unaprol e Mipaaf, ha permesso di affiancare la rintracciabilità dei documenti a quella di alcuni macro e micro-componenti contenuti nell’olio extra vergine di oliva che permettono di stabilire l’origine genetica e geografica degli oli di oliva. Dall’analisi di tali composti, sviluppata su un numero rilevante di campioni di sicura origine nazionale, è stato elaborato un modello statistico in grado di validare con buona approssimazione la provenienza nazionale dell’olio.

Tutela dell’olio d’oliva: nel DNA la garanzia per i consumatori
La ricerca, realizzata sotto l’egida di Unaprol e del Ministero Mipaaf, ha permesso di sviluppare un metodo di analisi molecolare dell’olio basato sull’impiego di marcatori DNA. Attraverso questa procedura si è in grado di distinguere varietà di olivo non italiane dei Paesi dai quali vengono importate grandi quantità di olio. Il metodo è stato applicato su diversi campioni di origine italiana consentendo di accertare l’assenza di contaminazione con varietà provenienti da Spagna, Grecia e Tunisia. Ha permesso inoltre di implementare un sistema di gestione (G.I.S.) in grado di fornire in tempo reale, in risposta ad una interrogazione con un campione incognito, la rispondenza sulla provenienza del prodotto.
«Lo studio che abbiamo finanziato ha permesso di evidenziare che i metodi di analisi classici non consentono di identificare l’origine e la composizione varietale dell’olio – ha affermato Pietro Sandali direttore generale di Unaprol – In un mercato globalizzato in cui ci rifilano come made in Italy i pomodori dalla Cina, il gorgonzola dalla Svezia, il sugo di San Marzano dagli Usa, il Pamesao dal Brasile e il Salam Napoli prodotto in Romania, uno stop all’olio con il passamontagna era d’obbligo per dare ai consumatori la possibilità di fare acquisti consapevoli».