Su dati Eurostat e Istat, Nomisma stima che la filiera agroalimentare contribuisca all’economia italiana con l’8,7 per cento del Pil e il 13,2 per cento degli occupati, vale a dire 119 miliardi di euro e 3,3 milioni di lavoratori occupati. E, considerando l’indotto, la percentuale della filiera rappresenta il 14 per cento del Pil nazionale.
Però il valore della produzione per impresa italiana è il più basso tra i Paesi europei a causa dell’estrema polverizzazione dell’offerta produttiva, legata ad una agricoltura e ad un’industria poco concentrate: 26 mila euro/anno per gli agricoltori e 2 milioni di euro/anno per l’industria. Inoltre è basso il grado di concentrazione della distribuzione e della commercializzazione che non sono allineati ai principali Paesi europei: la distribuzione moderna in Italia conta 84 imprese per 100 mila abitanti contro le 31 della Germania, le 44 della Francia, le 46 dell’Inghilterra. Infine l’Italia sconta la dipendenza dall’estero per molte produzioni agroalimentari, prima di tutto materie prime agricole, tanto che il saldo della bilancia commerciale è in negativo per 5,5 miliardi di euro.
Tutto ciò porta il nostro ssitema agroalimentare a deficit strutturali che si traducono in un’incidenza sul fatturato totale che è la più bassa in Italia: Coop, Conad e Selex rappresentano il 34 per cento, contro il 53 per cento di Carrefour, Marcadona e Eroski in Spagna; il 54 per cento di Carrefour, Leclerc e Casino in Francia; il 61 per cento di Edeka, Rewe e Aldi in Germania e il 61 per cento di Tesco, Asda e Sainsbury’s in Inghilterra. E l’Italia è autosufficiente solo per la frutta fresca e il vino.