Da uno studio Nomisma per Agrinsieme (Cia, Confagricoltura e Alleanza delle cooperative italiane) presentato in occasione della Prima Conferenza economica di Agrinsieme, svoltasi a Roma, emerge che alle imprese italiane servono 19 giorni per smaltire la burocrazia necessaria ad esportare via nave un prodotto agroalimentare verso i nuovi mercati mondiali, contro i 9 giorni necessari in Germania e i 10 di Francia e Spagna. È il quadro di un sistema agroalimentare che, in quanto a competitività, fa acqua da tutte le parti, soffocato dalla burocrazia e da costi fuori controllo, ma anche da una tendenza all’ipotrofia delle imprese che non consente un adeguato approccio ai mercati esteri.
Nonostante questo, in un Paese che soffre del sesto anno consecutivo di crisi, agricoltura e industria alimentare hanno mantenuto positivo il trend, con valori tra +4% e +7%, rappresentando il 9% del Pil e il 14% degli occupati. «La sfida che abbiamo di fronte è quella della globalizzazione – ha affermato il presidente di Confagricoltura, Mario Guidi – che non si vince certo con un modello di agricoltura conservativa e ferma al passato, come quella del km 0. Dobbiamo uscire dai nostri confini e anche da quelli europei, ormai diventati mercati domestici, sostanzialmente fermi. Dobbiamo internazionalizzarci. E per fare questo è necessario puntare su imprese che abbiano una valenza economica e su politiche che abbiano come obiettivi il mercato, la crescita, l’occupazione e la sostenibilità».

La nuova filosofia Agrinsieme: la frammentazione delle imprese è un ostacolo

Secondo le organizzazioni che compongono Agrinsieme si rende quindi necessario rivalutare un’intera filosofia che da anni condiziona il settore nel settore, che oggi si trova a fare i conti con un contesto di mercato complesso, tra una riduzione dei consumi alimentari interni del 12% rispetto al 2007 e rilevanti potenzialità da cogliere su mercati esteri in continua espansione. In questo quadro l’export agroalimentare italiano, seppur in continua crescita (+85% nell’ultimo decennio) rappresenta ancora solo il 20% del fatturato totale dell’industria alimentare, contro il 27% della Francia e il 34% della Germania.
«L’agroalimentare italiano ha bisogno di più aggregazione – ha dichiarato il presidente dell’Alleanza delle Cooperative agroalimentari, Giorgio Mercuri – perché l’elevata frammentazione del tessuto produttivo costituisce ancora oggi un serio ostacolo alla competitività del nostro sistema. Se facciamo un confronto con altri paesi produttori europei vediamo che il fatturato medio delle imprese agroalimentari italiane è meno della metà di quello tedesco e inferiore anche a quello di Francia e Spagna».
«Pur in presenza di numerosi ostacoli economici, dal ‘credit crunch’ alla burocrazia elefantiaca – ha spiegato il presidente della Cia, Dino Scanavino – le imprese agricole dimostrano di essere attive e vitali, garantendo produttività e lavoro in assoluta controtendenza ma è chiaro che bisogna fare un passo in avanti: per questo chiediamo alle istituzioni di investire sul serio sull’agricoltura, dopo averla lasciata per anni in un angolo».