Continua la mobilitazione promossa dalla Coldiretti sotto la sigla “La battaglia di Natale: scegli l’Italia” per difendere l’economia e il lavoro dalle importazioni di bassa qualità che varcano le frontiere per essere spacciate come italiane.
Un dettagliato dossier presentato in occasione di questa iniziativa sottolinea che l’industria del pomodoro importa in Italia semilavorati industriali prevalentemente da Cina e Stati Uniti pari a circa il 20 per cento della propria produzione. Ad arrivare in Italia è soprattutto concentrato in fusti da oltre 200 chili che vengono svuotati per confezionare il pomodoro in barattoli e vasetti da distribuire al consumo nel nostro Paese e all’estero senza alcuna indicazione sulla reale provenienza in etichetta. Il risultato sono i bassi prezzi pagati agli agricoltori e il crollo del raccolto che nel 2013 è risultato essere il più scarso degli ultimi dieci anni.
In Italia, inoltre, sono stati consumati 2,05 milioni di tonnellate di latte a lunga conservazione ma di questi solo mezzo milione è di provenienza italiana mentre il resto è stato semplicemente confezionato in Itala o addirittura e arrivato già confezionato, con un impatto negativo sul lavoro e sull’economia del paese. Ma ad essere importati – riferisce la Coldiretti – sono anche semilavorati come le cagliate, polvere di latte, caseine e caseinati che vengono utilizzati per produrre all’insaputa del consumatore formaggi di fatto senza latte.

Import agroalimentare: quando i maiali hanno sei cosce

L’Italia è anche il più grande importatore mondiale di olio di oliva nonostante una produzione nazionale di alta qualità che raggiunge quota 480mila tonnellate, secondo la Coldiretti. Le importazioni di olio dell’Italia superano la produzione nazionale e sono rappresentate per il 30 per cento da prodotti ottenuti da procedimenti di estrazione non naturali (olio di sansa, olio lampante e olio raffinato) destinati alla lavorazione industriale in Italia. In pratica la qualità del nostro olio – sostiene la Coldiretti – viene “contaminata” dalle importazioni e in media la metà dell’olio di oliva consumato in Italia proviene da olive straniere. Ma l’etichetta di provenienza che per questo prodotto è obbligatoria risulta di fatto non leggibile perché scritta in caratteri minuscoli posizionati nel retro della bottiglia mentre si fa largo uso di immagini e nomi che richiamano all’italianità.
C’è poi il problema della carne suina. Solo nell’ultimo anno sono scomparsi in Italia 615mila maiali “sfrattati” dalle importazioni di carne dall’estero per realizzare falsi salumi italiani di bassa qualità, con il concreto rischio di estinzione per i prelibati prodotti della norcineria nazionale, dal culatello di Zibello alla coppa piacentina, dal prosciutto di San Daniele a quello di Parma.
In Italia nel 2012 sono state importate 57 milioni di cosce di maiali dall’estero destinate ad essere stagionate o cotte per essere servite come prosciutto italiano, a fronte di una produzione nazionale di 24,5 milioni.

Import agroalimentare: in etichetta l’origine degli alimenti
«In un momento difficile per l’economia del nostro Paese – ha dichiarato il presidente della Coldiretti, Roberto Moncalvo – dobbiamo portare sul mercato il valore aggiunto della trasparenza e dare completa attuazione alle leggi nazionale e comunitaria che prevedono l’obbligo di indicare in etichetta l’origine degli alimenti». Attualmente in Italia l’obbligo di indicare la provenienza è in vigore per la carne bovina (dopo l’emergenza mucca pazza), e di pollo (dopo l’emergenza aviaria), per l’ortofrutta fresca, le uova, il miele, il latte fresco, la passata di pomodoro, l’extravergine di oliva. Ma ancora molto resta da fare e l’etichetta è anonima per circa la metà della spesa dalla pasta ai succhi di frutta, dal latte a lunga conservazione ai formaggi, dalla carne di maiale ai salumi fino al concentrato di pomodoro e ai sughi pronti.
«È necessario – conclude Moncalvo – che sia resa trasparente anche l’indicazione dei flussi commerciali con l’indicazione delle aziende che importano materie prime dall’estero, che venga bloccato ogni finanziamento pubblico alle aziende che non valorizzano il vero Made in Italy dal campo alla tavola e che diventi operativa la legge che vieta pratiche di commercio sleale, tali da permettere di pagare agli allevatori e agli agricoltori meno di quanto essi spendono per produrre».