Rispetto a altri vari settori economici, l’agroalimentare ha perso di meno, grazie all’industria

Nel 2020 il settore agroalimentare italiano ha di poco superato i 60 miliardi di euro di valore aggiunto prodotto, registrando un calo del -4%, ovvero meno della metà delle perdite dell’intera economia nazionale, che ha segnato un pesante -8,6%.
È quanto dimostra lo studio “I cluster d’impresa nella fase di ripresa post covid-19” del Consiglio e della Fondazione dei Commercialisti nel quale l’economia italiana viene divisa in nove cluster d’impresa (Agroalimentare, Turismo, Cultura, Moda e accessori, Meccanica, Mare, Sanità, Edilizia e Ambiente) che, nel complesso, rappresentano 2 milioni di imprese e oltre 8 milioni di addetti per un valore aggiunto complessivo che, nel 2020, raggiunge quasi 675 miliardi di euro, pari al 48% del sistema economico nazionale.
Secondo le elaborazioni dei commercialisti, tutti i cluster presentano dati negativi ma l’agroalimentare, dopo l’edilizia, è quello che si comporta meno peggio, mentre si registra il tracollo di turismo (-40%) e cultura (-21,9%).
Merito soprattutto del comparto della produzione delle industrie alimentari, delle bevande e del tabacco (-1,8% e un valore di 29,4 miliardi di euro), mentre è più evidente la flessione di agricoltura, pesca e silvicoltura (-6%, valore di 30,9 miliardi di euro). Dal 2007 ad oggi, il peso del cluster agroalimentare sul totale dell’economia italiana è cresciuto dello 0,5% passando dal 3,7% al 4,2%.

Secondo i dati Istat sulla competitività delle imprese, nel 2018, il cluster agroalimentare, ad eccezione delle imprese agricole, ha raggiunto un fatturato complessivo pari a 142,6 miliardi di euro ed un valore aggiunto pari a 27,6 miliardi di euro. In particolare, le imprese del cluster realizzano un fatturato medio di 2,6 milioni di euro, mentre il fatturato rapportato al numero di occupati è pari a 309.000 euro. I costi del personale sono pari all’11% del fatturato e in valore assoluto sono pari a 25 euro per ora di lavoro dei dipendenti.